Google si ritiene come un postino. Un postino, recapitando semplicemente una missiva, non può rischiare di violare la privacy di nessuno, non può rischiare di diffamare nessuno: è un semplice intermediario. Ma quattro dirigenti di Mountain View rischiano il carcere: ieri, presso la quarta sezione penale del tribunale di Milano, è iniziato il processo per dirimere il caso in cui è stata coinvolta la Grande G, accusata di aver attentato alla privacy e alla reputazione del soggetto di un video postato dai suoi utenti.
David Carl Drummond e George De Los Reies, rappresentanti legali di Google Italia, Peter Fleischer, responsabile europeo della privacy e Arvind Desikan di Google Video, nei mesi scorsi sono stati iscritti nel registro degli indagati. Nel 2006 aveva suscitato scalpore un video pubblicato sulla piattaforma di Mountain View: e Google, che opera da semplice intermediario, che offre spazio e visibilità a contenuti messi a disposizione dei cittadini della rete , era stato chiamata in causa per non essere intervenuta. La clip, stralci di angherie esercitate su un ragazzo down, aveva innescato la denuncia dell’associazione Vividown e un’indagine della Procura di Milano.
Sui quattro dirigenti di Google pende l’accusa di corresponsabilità nella diffamazione e violazione della privacy ai danni di un ragazzo down, una corresponsabilità aggravata dalla componente del lucro: la Grande G avrebbe messo a frutto le violenze raffigurate nella clip con la pubblicità che costella i propri servizi.
Nella udienza di ieri si sono costituite parte civile sia l’associazione Vividown sia il Comune di Milano. Il procedimento è stato rimandato al 19 febbraio. Il 19 febbraio, osservano in molti dentro e fuori dall’Italia, entrerà nel vivo un processo che costituisce una cartina di tornasole dell’orientamento con cui si guarda agli operatori della rete: editori o postini, controllori o inerti canali.
Google, che mette a disposizione una piattaforma il cui controllo e la cui gestione sono affidati alla community che la popola, ritiene di aver collaborato per quanto era in suo potere e in suo dovere fare: “Ci teniamo a ribadire, ancora una volta, la nostra più sentita e sincera solidarietà nei confronti del ragazzo e della sua famiglia – spiega Google in una nota inviata a Punto Informatico – Grazie al nostro contributo, i protagonisti del filmato incriminato sono stati individuati e puniti”. Ma la Grande G non è disposta ad interpretare un ruolo diverso da quello del mero intermediario, ritiene che il processo sia “assolutamente ingiustificato”: “È come perseguire gli impiegati delle poste per via di lettere minatorie spedite per posta”.
La rete “dovrebbe essere libera, aperta e democratica”, denunciano da Google: “Il voler attribuire la responsabilità dei contenuti a piattaforme neutrali è un attacco diretto alla Rete”. È possibile che la Grande G debba trovarsi a difendere il proprio ruolo e con esso quello di tutti i postini della rete: Vittorio Sgarbi , sentitosi diffamato da parole che Marco Travaglio avrebbe pronunciato a Pisa nel maggio scorso e che sarebbero poi rimbalzate su YouTube, ha citato per danni non solo il giornalista, ma anche Google Italia . Google, contattata da Punto Informatico in merito alla vicenda, dichiara di non aver ricevuto ancora alcuna comunicazione ufficiale.
Gaia Bottà