Il servizio Suggest di Google si ritrova ancora al centro di polemiche: stavolta a denunciare Mountain View è DAIA, una comunità ebraica argentina.
Google nei confronti dei cosiddetti “siti dell’odio” ha sempre adottato un atteggiamento di non responsabilità: anche quando è stata chiamata in causa da Anti-Defamation League ( ADL ), associazione che combatte su ogni fronte l’antisemitismo, ha ribadito che “non dovrebbe essere l’arbitro che regola ciò che appare e ciò che non appare online” e che essendo “a favore del diritto delle persone alla libera espressione, spetta ai governi eletti dai cittadini e ai tribunali decidere”. Ad essi spetta regolamentare ciò che può e ciò che non può apparire online: decisioni a cui BigG si rimette, come fatto in Austria e in Germania dove provvede a rimuovere i contenuti neonazisti dal suo motore di ricerca.
In altre occasioni, peraltro, Google aveva deciso di intervenire direttamente, come quando ha cercato di nascondere delle riprovevoli immagini razziste nei confronti di Michelle Obama e ha pubblicato delle scuse ufficiali.
Ora, tuttavia, l’organizzazione nazionale argentina ebraica è ricorsa in tribunale contro Google, ottenendo già dalla corte un’ingiunzione che impone al motore di ricerca il blocco della funzione suggest e l’indicizzazione di alcuni siti considerati antisemiti: coinvolti sono 76 siti e 13 termini considerati “altamente discriminatori” e quindi non suggeribili .
Il giudice, in pratica, ha per il momento rilevato la prevalenza della necessità di prevenire la discriminazione rispetto alla libertà di parola costituzionalmente riconosciuta anche in Argentina.
Non basta, dunque, che il motore di ricerca stia provando ad adottare accorgimenti alternativi come un sistema di avvertimento che, non influenzando sui risultati offerti dal suo algoritmo, provveda ad offrire una “spiegazione dei risultati della ricerca”, contestualizzandoli .
In ogni caso Google ha ribadito la sua posizione e la volontà di non interferire con la libertà di espressione e di non voler rimuovere una pagina dai propri risultati solo perché “impopolare o perché ha ricevuto lamentale per essa”.
Claudio Tamburrino