La proposta di legge conosciuta con il nome Google Tax è stata ripresentata alla Camera dopo che a fine novembre era stata ritirata dal dibattito al Senato sulla legge di stabilità.
L’esponente del Partito Democratico e presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia, come aveva peraltro giù annunciato, prova nuovamente ad inserire nella manovra economica in esame l’emendamento a prima firma di Edoardo Fanucci (Pd) e poi da Sergio Boccadutri (Sel), Ernesto Carbone (Pd), Antonio Castricone (Pd) e Stefania Covello (Pd). Lo strumento normativo risponde ad un’esigenza piuttosto specifica e d’attualità: far pagare le tasse alle multinazionali che operano sulla Rete e con la Rete in Italia , ma hanno una bandiera straniera e succursali in altri paesi europei con un regime di tassazione più conveniente cui possono scaricare i conti attraverso manovre effettivamente al limite del legale. Un esempio è il cosiddetto Double Irish With a Dutch Sandwich (“doppio irlandese con panino olandese”) che vede gli introiti finire vero società controllate con sedi irlandesi ed olandesi.
La proposta Google Tax gira intorno all’ obbligo di partita IVA : per costringere queste aziende digitali ad interfacciarsi con il Fisco italiano si prevede l’obbligo per chi acquista servizi online di farlo solo da soggetti dotati di una partita IVA italiana.
Il problema della tassazione di Google e compagnia, peraltro, non si concluderebbe con l’emendamento in questione: bisognerebbe a quel punto attendere di sapere cosa ne pensa Bruxelles, sia perché potrebbe rappresentare un’ ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, uno dei principi del mercato unico , sia perché la questione della partita IVA deve essere disciplinata a livello comunitario.
D’altra parte, la Commissione Europea sembra aver già fatto sapere in via informale che un provvedimento del genere sarebbe contrario alle normative europee e potrebbe andare incontro ad una procedura per infrazione : non deve d’altronde sorprendere saperlo, dal momento che nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo, tutti i governi hanno concordato sulla necessità di aumentare gli sforzi e gli investimenti a favore dell’economia digitale e di Internet , in modo da fare veramente del Vecchio Continente quell’economia della conoscenza di cui si parla dall’Agenda di Lisbona del 2000.
Oltre alle ragioni legali e politiche, poi, la misura lascia dubbi sulla convenienza economica, tanto che osservatori ed operatori del settore hanno espresso aspre critiche nei confronti della misura: la semplicistica soluzione della tassazione in tutto e per tutto più che toccare i colossi come Google rischia seriamente di mettere i bastoni tra le ruote agli altri (più piccoli) operatori della Rete, magari anche scoraggiando eventuali investimenti esteri. Un ottimo modo, insomma, per scoraggiare quegli indizi di ripresa che l’ ultimo rapporto del Censis ha individuato proprio nelle risorse digitali.
Claudio Tamburrino