“L’obiettivo di Google è di permettere ai suoi utenti di avere riposte a domande tipo cosa farò domani? e quale sarà il mio lavoro? “, ha dichiarato qualche giorno fa Eric Schmidt, CEO di Google, senza badare agli effetti collaterali di queste affermazioni. Già, perché in pochissimo tempo è montata subito una polemica che ha trovato spazio anche sul Financial Times . La massimizzazione della raccolta delle informazioni spaventa. Il desiderio di Google di organizzare il mondo delle informazioni risponde ad esigenze crescenti della comunità online, ma allo stesso tempo mostra il fianco alla critica più radicale, timorosa della violazione dei diritti di privacy.
“Siamo certamente all’inizio nella raccolta delle informazioni. Gli algoritmi comunque miglioreranno e si affineranno anche nella personalizzazione”, ha aggiunto Schmidt. Secondo la giornalista del Financial Times Caroline Daniel, il terreno di scontro fra i giganti del settore è oggi proprio quello della raccolta dei dati degli utenti, elemento chiave per offrire agli inserzionisti l’opportunità di campagne sempre più mirate.
D’altra parte Schmidt è convinto che il non sapere abbastanza sugli utenti sia l’attuale limite della propria piattaforma online. “Non possiamo rispondere alle domande più semplici perché non sappiamo (molto) di voi”, ha ribadito il CEO di Google a Londra durante una conferenza. “I nuovi servizi iGoogle , che permettono di personalizzare la propria pagina di ricerca di Google e pubblicare i propri contenuti, si distingueranno proprio in questa direzione”. E a questi vanno aggiunti anche il Google Personalised Search , che permette al motore di ricerca di archiviare il proprio “storico di navigazione” online, e Google Recommendations , che permette al sistema di suggerire prodotti e servizi compatibili con le preferenze dell’utente. Soluzioni di personalizzazione dei risultati, insomma, che domani accoglieranno facilmente inserzioni ad hoc.
Ma è l’intero settore ad aver sposato questa nuova strategia. Anche Yahoo, con l’aggiornamento della sua piattaforma pubblicitaria , è in grado di monitorare più in profondità il comportamento degli utenti sul suo portale, ed utilizzare le informazioni raccolte per creare i profili dei loro interessi. In questo modo la gestione delle campagne pubblicitarie riesce ad essere ancora più efficiente.
Nel Regno Unito, come ricorda sempre il Financial Times, la società Autonomy sta sviluppando una tecnologia che permetterà il cosiddetto “transaction hijacking”. In pratica durante una sessione di acquisto online l’utente sarà informato di eventuali alternative più economiche. Uno scenario per alcuni aspetti forse più preoccupante di quello offerto da Google, che invece tiene a sottolineare come i suoi servizi “più invasivi” siano comunque “un optional”.
Google preoccupa. A prescindere da ogni passetto evolutivo, da ogni accordo, da ogni partnership… È un colosso e gestisce miliardi di informazioni: provoca ansia. Ma come sostiene Schmidt “l’azienda sta lavorando a una tecnologia per far fronte anche a questa questione”. Che si tratti di una pillola?
Dario d’Elia