Da quando è stato introdotto in Europa il concetto di diritto all’oblio, solo Google ha dovuto esaminare più di un milione di URL, e facendo da arbitro tra diritto alla privacy e diritto all’informazione ha stabilito di deindicizzare poco più del quaranta per cento dei link segnalati.
Il diritto all’oblio è quella delicata applicazione della privacy che riconosce la possibilità di veder rimossi dai risultati dei motori di ricerca alcuni link che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato, in quanto non più rilevanti per l’attualità: tale principio, pur ponendosi in pericoloso contrasto con il diritto alla cronaca, è stato sancito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del mese di maggio del 2014 , Google Spain contro AEPD e Mario Costeja González ed ha finito per obbligare i motori di ricerca a valutare caso per caso se rimuovere determinati risultati segnalati dai protagonisti delle pagine linkate.
Oltre ai puntuali report dedicati alla trasparenza, a luglio Google, seppur involontariamente, aveva fatto ulteriormente luce sui numeri delle richieste di rimozione di contenuti dai risultati della sua ricerca ricevute sulla base dei principi europei del diritto all’oblio. Ora torna in argomento ufficialmente: sono 1.234.092 gli URL analizzati in risposta di 348.085 richieste ricevute . Di questi, il 42 per cento è stato rimosso dai risultati di ricerca.
Tra le richieste valutate da Google vi sono, per esempio, quella belga di una persona accusata di un reato grave negli ultimi cinque anni ma la cui condanna è stata annullata in appello (accolta), quella ungherese di un “funzionario pubblico” che chiedeva di rimuovere articoli recenti relativi a una condanna penale risalente a decenni fa (respinta), quella polacca di un “importante uomo d’affari” che chiedeva la rimozione di articoli relativi all’azione legale da esso intentata contro un giornale (respinta), quella di un attivista politico lettone che – pugnalato durante una protesta – chiedeva la rimozione di un link ad un articolo relativo al fatto (ed in risposta alla quale sono stati rimossi i risultati relativi al nome della vittima).
In particolare il 9 per cento del numero totale di URL di cui è stata richiesta la rimozione dai risultati è relativo a 10 siti, quasi tutti social network e pagine di Google stessa: di Facebook sono stati rimossi 10.220 URL, di profileengine.com, un aggregatore di notizie sulle persone, 7.986 URL, di groups.google.com 6.764 URL, di youtube.com 5.364 URL e di Google Plus altri 4-134. Nella top ten entrano anche badoo.com, con 4.420 URL, nnuaire.118712.fr, 3.920 URL e Twitter.com che ha visto rimossi 3.879 suoi link dai risultati delle ricerche.
Solo per l’Italia, poi, Google ha ricevuto un totale di 26.186 richieste relative a 85.656 URL.
Claudio Tamburrino