Non tutti i testi sono blindati, non tutte le opere restano intoccabili per tempi interminabili: la cultura libraria statunitense del secolo scorso sta andando a rimpinguare il pubblico dominio. Come districarsi fra opere orfane, opere protette, opere in pubblico dominio? Come discernere fra i testi ai quali è possibile attingere a piene mani e quelli su cui si può contare sul solo fair use? Google offre ai netizen una bussola da qualche centinaia di mega , un file XML che raccoglie tutte le opere sulle quali è possibile sferruzzare senza alcun limite.
A favore dei cittadini che intendano orientarsi negli intricati meandri della legge sul diritto d’autore statunitense, esistono i registri del Copyright Office: parte dell’archivio che raccoglie lo status delle opere è rintracciabile online , ma sono ancora volumi polverosi a tenere traccia delle opere letterarie registrate prima del 1978. Vi sono custoditi i dati relativi alla registrazione dei testi e alle operazioni di rinnovo previste dalle leggi statunitensi. Rinnovi che gli autori hanno compiuto tra il 1923 e il 1964 per non far cadere le proprie opere in pubblico dominio.
Proprio su questi archivi ha agito il gruppo che lavora allo Universal Library Project presso la Carnegie Mellon University: con una scansione ha tramutato in immagini le pagine dei registri. Ancora poco agile il movimento del cittadino fra le numerosissime pagine dell’archivio. In questa contingenza si è dunque inserito il paziente lavorìo di Distributed Proofreaders e di Project Gutenberg : trasformate in testo le immagini fornite dallo University Library Project, hanno operato un controllo certosino per rimediare agli errori commessi dal sistema OCR.
Poi, l’intervento di Google: Jarkko Hietaniemi ha combinato l’archivio online del Copyright Office e i dati scaturiti dalla digitalizzazione degli archivi cartacei e li ha fatti convergere in un unico file XML , scaricabile e consultabile dai cittadini della rete. Il blog di Google Book Search ne annuncia con orgoglio il rilascio: un sussidio utile alla grande G per accertarsi della liceità della propria opera di scansione e pubblicazione massiva, diventa un regalo messo a disposizione dei netizen affinché alimenti la loro cultura, la loro voglia di creare e reinventare e di restituire vita alle opere del passato.
A fronte dell’annuncio roboante di Mountain View, sono in molti ad esultare e a plaudere all’iniziativa di Google. C’è però chi si interroga sulla maneggevolezza di un file XML da oltre 350 MB: un’ iniziativa simile è stata condotta dall’Università di Stanford e consente di sfogliare gli archivi e di rintracciare opere del passato senza scaricare alcunché.
Gaia Bottà