Una piccola breccia inaspettata si è aperta nella Grande Muraglia Digitale cinese, il “firewall” che tiene separata la Internet autorizzata da Pechino e quella non regolamentata accessibile nei paesi a regime democratico. Un malfunzionamento temporaneo, subito risolto, e che presto potrebbe essere seguito da regolamentazioni ancora più stringenti e da una censura ancora più draconiana.
Il fatto è avvenuto nella notte tra domenica e lunedì, e ha permesso agli utenti cinesi di accedere “in chiaro” ai servizi di Google (Search, Gmail, YouTube ecc.) per la prima volta dopo anni di censura di stato. Prevedibilmente la notizia ha fatto il giro dei social network, e presto anche i netizen del Celeste Impero si sono ritrovati a guardare video di gattini sul Tubo come il resto del mondo.
L’inatteso squarcio nella Grande Muraglia ha sollevato qualche speranza sulla possibile fine della censura di stato, una speranza che si è però spenta in fretta: dopo 105 minuti di libero accesso, i servizi di Google sono tornati inaccessibili con l’aggiornamento delle blacklist con i siti Web “sgraditi” di Pechino.
La momentanea disponibilità di Google in Cina è in effetti dipesa dall’aggiunta di nuovi indirizzi IP locali pensati per gli utenti della zona asiatica (Vietnam, India, Giappone, Singapore, Pakistan,…), quindi è facile ipotizzare che la censura cinese sia gestita in via del tutto manuale piuttosto che tramite sistemi o algoritmi automatizzati.
Internet, in Cina, continua a essere sotto stretto controllo governativo, forse lo store Google delle app mobile (Android) tornerà disponibile in versione epurata ma il futuro è tutto fuorché roseo per la libertà di espressione nel paese: il governo di Pechino lavora a nuove regolamentazioni pensate per restringere l’accesso ai quei server e siti Web (entro o forse anche fuori il territorio nazionale) non opportunamente registrati presso le autorità.
Alfonso Maruccia