Le tecnologie di advertising online di Google sono al centro del processo in corso negli Stati Uniti. La Commissione europea ha invece già stabilito che l’azienda di Mountain View ostacola la concorrenza, in quanto gestisce tutti i servizi usati da editori e inserzionisti per vendere e acquistare gli spazi pubblicitari su siti web e app. Google ha proposto di vendere AdX, ma l’offerta è stata rifiutata.
Possibili rimedi per Google
In seguito all’indagine avviata oltre due anni fa, la Commissione europea ha determinato che Google abusa della posizione dominante nel mercato del display advertising per ostacolare i concorrenti. Il quasi monopolio è stato raggiunto con un intero “ad-tech stack”.
L’azienda di Mountain View offre infatti i tool DoubleClick For Publishers agli editori, mentre gli inserzionisti usano Google Ads e DV360. Le transazioni (aste) per acquisto e vendita degli spazi pubblicitari avvengono tramite exchange AdX. Secondo la Commissione europea, l’unico rimedio efficace è vendere alcuni servizi.
Google ha proposto di vendere AdX, ma gli editori europei hanno evidenziato che non è la soluzione migliore per ripristinare la concorrenza. Infatti, la Commissione aveva dichiarato che il conflitto di interessi può essere eliminato solo con la vendita dei tool per gli inserzionisti (Google Ads e DV360) o quello per gli editori, insieme all’exchange (che oggi formano Google Ad Manager).
Questa è tuttavia l’opzione più “estrema” che potrebbe essere imposta solo se l’azienda californiana non dovesse interrompere le pratiche anticoncorrenziali. Più probabile invece una multa che può arrivare al 10% delle entrate globali annuali. Un portavoce di Google ha dichiarato:
Come abbiamo detto prima, il caso della Commissione europea sui nostri prodotti di display advertising si basa su interpretazioni errate del settore ad-tech, che è fortemente competitivo e in rapida evoluzione.