Le misure antidoping , nello sport, vanno aiutate e sostenute. Anche se fosse necessario ricorrere alla chirurgia per inserire sottopelle un chip e, nella borsa della società sportiva cui si appartiene, un inamovibile modulo GPS.
No, non è fantascienza: è la proposta di Carolina Klüft e Stefan Holm, due atleti svedesi che aborriscono il doping . Secondo loro, infatti, benché in Svezia gli atleti “di grido” già forniscano un rapporto quadrimestrale dei loro presumibili spostamenti, occorre creare uno strumento di maggiore deterrenza fondato sui controlli a sorpresa.
“Ho già proposto in passato di dotarci di chip impiantati chirurgicamente sottopelle. E sarebbe ancora meglio se ciascuno di noi avesse un anello portachiavi (da portare obbligatoriamente, ndR) con un trasmettitore dotato di GPS nelle nostre borse sportive. In tal modo chiunque lo desideri saprebbe sempre dove siamo e potrebbe chiamarci per un test (antidoping, ndR)”, ha detto la Klüft al giornale Svenska Dagbladet .
L’atleta non ritiene appropriato definire un provvedimento del genere “sorveglianza”. Se non si ha nulla da nascondere, secondo la nordica mentalità, men che meno deve temere un atleta, anzi, un’atleta di fama: la Klüft, che non ha mai perso una gara sin dal 2002, ha dichiarato che il solo pensiero di impiegare una sostanza proibita la terrorizza. Per lei non avrebbe più senso vivere, dovrebbe lasciare il suo paese.
Si dichiara sostanzialmente d’accordo anche Stefan Holm, medaglia d’oro alle olimpiadi del 2004 nel salto in alto. “Perché no? – dice – Un GPS potrà sembrare radicale e suonar male ma, a volte, potrebbe essere una buona soluzione per evitare di essere sospettati senza motivo”. Ma, precisa l’atleta, è difficile essere sicuri al cento per cento senza l’aggiunta di un chip impiantato sottopelle che renda unica la coppia trasmettitore-GPS, associandola alla persona.
Poiché gli atleti top performer sono comunque già tenuti d’occhio molto da vicino, non farebbe una gran differenza avere anche un GPS e un chip, osserva The Local . “Gli allenatori-manager vogliono davvero sapere dove siamo in qualunque momento e in modo tale da tener traccia dei nostri spostamenti, per quanto assurdo e fantascientifico possa sembrare”, ha dichiarato Holm, sorvolando con eleganza sulle conseguenze che una soluzione di tracking ossessivo, per quanto tecnicamente valida, avrebbe sulla privacy.
Marco Valerio Principato