Ormai un decennio e mezzo fa i fisici Andrej Gejm e Konstantin Novosëlov dell’Università di Manchester compirono una scoperta che nel 2010 valse loro l’assegnazione del Premio Nobel: quella del grafene. Un materiale costituito da uno strato di atomi di carbonio disposti in formazione esagonale con angoli di 120 gradi, che a una resistenza molto elevata alle sollecitazioni unisce una grande flessibilità così da risultare potenzialmente adatto a impieghi negli ambiti più svariati.
Il grafene compie 15 anni, tra promesse e prospettive
A celebrare la ricorrenza un articolo comparso nei giorni scorsi sulle pagine della rivista Nature Nanotechnology in cui si fa il punto sui progressi fin qui ottenuti e sugli obiettivi fissati per i prossimi 10-15 anni. Assisteremo all’utilizzo del grafene nel settore dell’informatica e in quello dell’energia, per la realizzazione di batterie li-ion evolute in termini di capacità, nano-lampadine a incandescenza, display olografici e molto altro ancora.
Addirittura se ne ipotizza l’uso nelle protezioni antiproiettile da fornire in dotazione ai militari impiegati nei conflitti. L’obiettivo è quello di far leva sulle proprietà elettroniche, ottiche, termiche e meccaniche per le finalità più disparate.
Al lavoro sui possibili impieghi del materiale, sullo studio delle applicazioni pratiche di ciò che fino ad oggi è rimasto più che altro una promessa di innovazione sulla carta, c’è anche la Graphene Flagship, realtà attiva fin dal 2013 e sostenuta anche a livello economico dall’Unione Europea. Riunisce quasi 150 partner provenienti da 23 paesi diversi con l’obiettivo di spingere sul pedale dell’innovazione.