Lo avevamo segnalato anzitempo, ma non è servito. Lo ha segnalato in seguito anche il Garante Privacy con una missiva a Fico, Speranza e D’Incà, ma non è bastato. Lo avrebbero potuto fermare in tanti durante la prima lettura al Senato e la seconda lettura alla Camera, ma non è stato fatto. Ed è così che il testo (pdf) sul Green Pass è arrivato ad una nuova approvazione portandosi appresso un peccato originale contro il quale dovrà ora inevitabilmente scontrarsi all’esame delle Authority.
Nella parte antimeridiana della seduta la Camera, con 453 voti favorevoli e 42 contrari, ha votato la questione di fiducia posta dal Governo sull’approvazione, senza emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’articolo unico del disegno di legge di conversione in legge del decreto 21 settembre 2021, n. 127, recante misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening (Approvato dal Senato), nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato.
L’approvazione arriverà in tempo breve, ma l’apposizione della Fiducia – nonché i contenuti della discussione in atto – non mette in dubbio l’esito della votazione.
Green Pass: il NO del Garante Privacy è scontato
Sta tutto in questo semplice passaggio, introdotto in Senato dall’emendamento firmato dall’on. Fedeli e salvaguardato dalla Fiducia (approvazione senza ulteriori modifiche al fine di accelerarne l’iter):
Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro.
L’unica voce critica nei confronti di questa distorsione arriva da una delle voci rilanciate dal mondo No-Green Pass, Jessica Costanzo, che coglie questa importante sfumatura al volo per aggiungere argomentazioni al proprio attacco contro i Certificati Verdi:
Poi qualcuno dovrebbe spiegarmi: se una lavoratrice o un lavoratore non è nel luogo di lavoro, ma è in smart working, come fa a essere contagioso nel luogo di lavoro? Dimostratemelo almeno! Dal momento in cui è stato emesso questo decreto fino al 15 ottobre, quando è stato introdotto questo obbligo, abbiamo assistito a tante lavoratrici e lavoratori costretti a lasciare il loro luogo di lavoro durante la loro piena giornata lavorativa, alla scadenza – 1 minuto dopo – delle 48 ore di validità del tampone. Questa stortura è stata sì corretta, ma ne rimangono tante altre in piedi, a cominciare anche dall’emendamento, che è stato approvato in Senato, che riguarda la possibilità del datore di lavoro di raccogliere i green pass dei dipendenti per evitare i controlli quotidiani. Bene, qui si mina l’efficacia, perché in questo caso non si possono rilevare eventuali positività e anche il Garante della privacy si è espresso criticamente.
In altri toni, il Garante aveva già precedentemente offerto una disamina chiara in proposito:
In primo luogo, la prevista esenzione dai controlli -in costanza di validità della certificazione verde- rischia di determinare la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “green pass”. Esso è, infatti, efficace a fini epidemiologici nella misura in cui il certificato sia soggetto a verifiche periodiche sulla sua persistente validità; ciò che è reso possibile dal costante aggiornamento, mediante la piattaforma nazionale DGC, dei certificati in base alle risultanze diagnostiche eventualmente sopravvenute. […] L’assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consentirebbe, di contro, di rilevare l’eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all’intestatario del certificato, in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali.
Per il Garante si tratta di una misura:
- non conforme con le finalità del Green Pass
- non proporzionata, poiché la conservazione del Green Pass ne pregiudica l’utilità e rende pertanto eccessiva la gestione dei dati correlata
- non in linea con le prescrizioni offerte
Il testo approvato dal Senato prima e dalla Camera poi nasce dunque con il peccato originale e di questo dovrà rispondere al cospetto dell’Authority, la cui risposta non potrà che essere quella indicata in tempi non sospetti: no alla consegna del Green Pass al datore di lavoro. L’iter, pertanto, non può dirsi concluso perché la prossima puntata è di fatto già scritta.