Apple il modello da seguire, Facebook e Google autori di grandi progressi, Twitter e Amazon bocciate sonoramente. Il responso arriva da Greenpeace, che ha pubblicato il rapporto Clickingclean , focus sulle fonti di energia utilizzate da 19 delle più popolari e influenti aziende ICT per far funzionare le rispettive e pesanti infrastrutture cloud che, oltre a necessitare di massicce quantità di energia, sono destinate a richiederne sempre di più nell’immediato futuro. Per avere un’idea, basta pensare che la quantità totale di energia impiegata in un solo anno da tutti i fornitori di servizi cloud è superiore a quella consumata dalla Germania.
Ideato per monitorare i comportamenti assunti dalle società e la relativa attenzione all’impatto sull’ambiente derivato dalle loro scelte, lo studio dell’organizzazione non profit premia la Mela, l’unica a ottenere per i propri data center (e il futuro campus societario) energia rinnovabile al 100 per cento. Fattore che per Greenpeace vale l’ incoronazione ad azienda più innovativa capace di stabilire un nuovo standard per il settore.
Così mentre Tim Cook si crogiola per aver invertito la rotta in pochi anni – Greenpeace si è scagliata molte volte contro le politiche della Mela – sul banco degli imputati finisce Amazon, colpevole di sfruttare energia pulita in misera percentuale (15 per cento). La società di Jeff Bezos è rea di non rispettare nessuno dei due punti base del rapporto: trasparenza nel fornire informazioni e impegno nell’attuare comportamenti virtuosi per ridurre l’inquinamento. Per questo Apple, Facebook, Google, Salesforce, Box e Rackspace sono state giudicate positivamente per le politiche intraprese a lungo termine, mirate a fare affidamento solo ed esclusivamente su energia proveniente da fonti rinnovabili, mentre Amazon è finita dietro la lavagna per non aver fornito informazioni e per continuare a basare i suoi servizi cloud su energia proveniente da carbone (28 per cento) e nucleare (25 per cento).
Immediate le critiche per l’operato e per il rifiuto a collaborare, finiti nell’occhio del ciclone di Greenpeace anche perché i server di Amazon ospitano tanti altri protagonisti del web come ad esempio Netflix, Spotify e Pinterest. “Continuando a fondare la sua attività su energia non rinnovabile, Amazon si distanzierà sempre di più dalle aziende virtuose”, ha dichiarato Gary Cook, uno degli autori del report, subito ripreso dalle parole di un portavoce dell’azienda di Seattle secondo cui le richieste di Greenpeace sono giuste ma i calcoli errati.
Note positive anche per Facebook, che porta una casa una pagella quasi impeccabile (tre A su quattro classi di giudizio, che va da A a F) anche grazie al data center alimentato a energia eolica in Iowa e al potenziamento del più recente centro a zero emissioni aperto a Lulea (Svezia). Anche il social network ha cambiato totalmente la sua filosofia fino a meritare gli elogi di Greenpeace per l’ampio grado di trasparenza garantita agli utenti, nonostante a livello assoluto il tasso di energia pulita utilizzata sia pari al 49 per cento.
Buona ma non del tutto convincente Google, una delle prime aziende a virare verso la svolta energetica ma ancora lontana dall’obiettivo dichiarato di sfruttare solo energia pulita. Molto più indietro Microsoft e ultima degli ultimi Twitter, bacchettata per non aver indicato la provenienza dell’energia impiegata per i suoi server e in sostanza ferma nell’impegno a favore di energia pulita al contrario di tutti i suoi maggiori rivali.
Alessio Caprodossi