Milano – Ancora una volta a Cupertino possono festeggiare: Greenpeace per il terzo anno incorona Apple come azienda più green su piazza, grazie all’impegno devoluto da Tim Cook (ma lo sforzo era iniziato con Steve Jobs al timone) nel traghettare la Mela verso fonti rinnovabili per l’energia, verso produzioni sostenibili e nel complesso verso una visione più ecologica della tecnologia. Bene anche le altri grandi del settore, mentre Greenpeace bacchetta ancora le aziende che vengono dall’Asia : possono fare di più, e i voti in pagella per ora non sono lusinghieri.
Le misurazioni di Greenpeace sono iniziate ormai quasi 10 anni fa , e anno dopo anno – anche per via della svolta cloud dell’industria – si sono fatte sempre più significative visto che da solo l’ICT consuma circa il 7 per cento di tutta l’energia disponibile a livello planetario. I datacenter che fioriscono in tutti i continenti sono delle vere e proprie idrovore di watt : l’esplosione di Internet e del consumo dei contenuti veicolati attraverso la Rete ovunque ci si trovi, grazie ai terminali smart che sempre più cittadini del pianeta hanno in tasca, segna una tedenza che non farà che far crescere e moltiplicare questi consumi nei prossimi anni.
Come ha fatto Apple a conquistare il gradino più alto del podio è presto detto : proprio come Google si è impegnata a usare le rinnovabili per alimentare le sue attività, e ha fatto anche di tutto per comunicarlo al pubblico in modo trasparente oltre che portare avanti una campagna di sensibilizzazione dello stesso pubblico sulla materia. Il risultato è che Apple utilizza energia pulita per l’83 per cento del totale consumato , valore che cala al 56 per cento per la seconda classificata Google. Da segnalare una novità della classifica di quest’anno: Switch, specializzata in datacenter, scala le posizioni grazie soprattutto allla capacità di usare al 100 per cento energia pulita – mentre cede qualcosa in termini degli altri criteri di trasparenza e sensibilizzazione che Greenpeace adotta per la valutazione complessiva.
Ci sono anche delle note stonate , comunque, in Nordamerica: Netflix per esempio non esce benissimo da queste pagelle assegnate dagli ecologisti, visto che la nuvola che usa per erogare i suoi streaming video non è verde quanto quella della concorrenza. Da rivedere anche Amazon, IBM e Oracle: prendono voto che si aggirano solo attorno alla sufficienza, segno che potrebbero fare di più soprattutto per comunicare meglio le proprie iniziative in termini di rinnovabili.
Discorso analogo fatto per le grandi aziende asiatiche che si occupano di cloud e servizi IT: anche lì Greenpeace caldeggia un cambio di passo per abbracciare un mix di energie capace di produrre meno CO2 emessa in atmosfera e che punti decisamente alle fonti alternative ritenute pulite. Alibaba e Baidu, due dei colossi di Cina, racimolano appena una D e una F rispettivamente: loro, come molte altre imprese d’Oriente, soffrono soprattutto della mancanza di energie rinnovabili nella regione , “vittime” per così dire di una situazione generale che privilegia le energie fossili e stenta ancora ad avviare un ciclo basato su fotovoltaico ed eolico .
Il report completo di Greenpeace, oltre 100 pagine, è disponibile a questo indirizzo .
Luca Annunziata