Dopo una fase di avvio turbolenta, in cui era necessario assemblare un catalogo che sapesse solleticare l’interesse degli utenti e raggranellare dati da offrire alle major come merce di scambio, avrebbe voluto convertirsi in una piattaforma di streaming musicale pienamente legale, supportata da advertising e abbonamenti: le strategie con cui Grooveshark ambiva a gettare le fondamenta del proprio business rischiano di costarle molto caro, più di quanto avrebbe dovuto pagare per ottenere le licenze che avrebbe acquisire dalle case discografiche.
Grooveshark, lanciata nel 2006 e inizialmente basata su un modello P2P per costruire e fruire di un catalogo che avrebbe dovuto essere alimentato dagli utenti con il via libera delle major, ha da sempre intrattenuto rapporti ambigui con i detentori dei diritti: se l’ accordo con EMI mai onorato da Grooveshark si è tramutato in una partnership con Sony, le relazioni con Universal sono da anni tempestose. La denuncia depositata nel 2011 ha dato origine a un contenzioso al quale hanno preso parte anche Warner e la stessa Sony Music: il caso sarà a breve nuovamente dibattuto in tribunale, di fronte a una giuria.
Il quadro generale è stato delineato dalla giustizia statunitense nello scorso mese di settembre: la piattaforma, secondo il giudice che presenterà il contesto alla giuria, sarebbe cresciuta nutrendosi di violazioni del diritto d’autore incoraggiate da Escape Media, gestore del servizio. Escape avrebbe agito sollecitando i propri dipendenti al caricamento illegale di brani e minacciandoli del licenziamento se non avessero contribuito: l’obiettivo era quello di far crescere velocemente la piattaforma e popolarla di utenti di cui rilevare le preferenze, per mettere le major di fronte al fatto compiuto e di fronte a un business già avviato e potenzialmente fruttuoso, così da poter strappare accordi di licensing non troppo onerosi.
Il giudice, nel documento che riassume il contesto a favore della giuria, ricorda che i brani di cui si discuterà sono 4907: per ogni brano le etichette potrebbero essere risarcite con una cifra che può raggiungere i 150mila dollari, se si confermasse l’intenzionalità della violazione. Ad Escape sarà concesso di esporre le proprie ragioni e di presentare delle prove che dimostrino la propria innocenza, ma sarà la giuria a deliberare: la somma massima che potrebbe ritrovarsi a dover corrispondere è pari a 736.050.000 dollari.
Gaia Bottà