Anche la piattaforma della libertà d’espressione per eccellenza, Telegram, potrebbe finire nella morsa delle tensioni tra Russia e Ucraina. A renderlo noto è Pavel Durov. Secondo il CEO e fondatore dell’app, in conseguenza a una ulteriore escalation degli eventi, alcuni canali potrebbero subire restrizioni parziali oppure essere soggetti a chiusura definitiva.
Telegram: la posizione del CEO sulla guerra in Ucraina
La ragione è da ricercare nella circolazione di informazioni non verificate a proposito del conflitto esploso nel territorio ucraino. Il numero uno della piattaforma sottolinea la volontà di non renderla uno strumento impiegato per aggravare ulteriormente una situazione già degenerata negli ultimi giorni.
Nato a San Pietroburgo, una delle città russe che nel fine settimana hanno accolto i manifestanti scesi in piazza per protestare contro la guerra, Durov in passato è stato alla guida di VK, social da lui stesso fondato nel 2006 e oggi network più frequentato del paese. Nell’aprile 2014 ha rassegnato le proprie dimissioni dalla società, dopo che (stando alle sue dichiarazioni) il controllo è di fatto passato nelle mani degli alleati di Vladimir Putin, con tutto ciò che ne consegue in termini di impatto sulla privacy. All’epoca ha lasciato la Russia, con l’intenzione di non tornarci. Dal 2021 è cittadino francese.
Nel tempo, Telegram è finita più volte al centro di polemiche e accese discussioni per la natura dei suoi canali e delle transazioni veicolate. È accaduto anche in Italia, dove l’app è diventata in più occasioni la scelta preferita da coloro intenti a scambiarsi Green Pass falsi o a organizzare azioni No Vax.
Tornando alla Russia, lo scorso anno l’app e il suo team sono finiti nel mirino degli oppositori di Putin per aver bloccato i chat bot impiegati dai collaboratori di Alexei Navalny, attivista impegnato in una campagna per il voto intelligente
in occasione delle elezioni per la Duma.