Avevamo immaginato il ventunesimo secolo come l’era delle macchine volanti, dovremo accontentarci di quelle che guidano da sole. Un nuovo capitolo della mobilità è dietro l’angolo, ma come sempre accade all’alba di una rivoluzione ci sono resistenze da vincere e legittimi dubbi da sciogliere. Entro pochi anni prenderemo confidenza anche con le self-driving car , così come abbiamo fatto in passato con Internet o con i dispositivi mobile.
Quella legata alla guida autonoma è una tecnologia disruptive . Il suo impatto sarà enorme e cambierà il modo di viaggiare. Se ne sono accorti tutti i grandi player attivi nel mondo delle quattro ruote – con qualche eccezione – che anziché opporsi al cambiamento ne hanno intravisto le opportunità mettendo in campo iniziative proprie oppure siglando partnership con le realtà del mondo hi-tech al lavoro sullo sviluppo di soluzioni dedicate. Uno scenario difficile anche solo da immaginare un decennio fa: chi mai avrebbe scommesso su una collaborazione tra un motore di ricerca e un produttore di automobili?
Eppure Google e FCA condividono oggi un obiettivo comune, solo per fare un esempio. Da un lato chi si occupa del software, dall’altro chi ha le competenze necessarie per mettere insieme l’hardware che andrà a ospitarlo, in questo caso una vettura. L’automobile verrà progressivamente spogliata di un ruolo storicamente attribuitole per diventare sempre più l’oggetto di un servizio . Andrà scemando il concetto di proprietà, lasciando il posto alla mera fruizione. Lo abbiamo già visto con il ride sharing e con il car sharing.
La guida autonoma si inserisce di diritto in una prospettiva di questo tipo. Affinché possa davvero esprimere le sue potenzialità, che ricordiamo sono in primis finalizzate a rendere gli spostamenti più sicuri per tutti, bisogna però che si verifichino alcune condizioni.
Serve un cambiamento culturale : chi mai salirebbe su un veicolo senza conducente se prima non è certo di non correre alcun rischio? Solo un’adeguata formazione può colmare il gap e non sarà cosa semplice.
Serve un aggiornamento normativo : va detto, oggi non siamo pronti a veder circolare sulle nostre strade le self-driving car. Comportamenti poco responsabili degli automobilisti a parte, dev’essere innescato un processo di revisione delle leggi che regolano la circolazione. Uno sforzo già compiuto da alcune realtà governative statunitensi, non senza incontrare difficoltà.
Servono investimenti : non possiamo parlare di sistemi V2V o V2I, di cloud o 5G senza un’adeguata infrastruttura a sostenerli. Tutte queste tecnologie saranno fondamentali per gestire la guida autonoma che, lo ricordiamo, getta le fondamenta proprio sull’elaborazione di dati e informazioni.
Serve pazienza : non saliremo su una self-driving car domani e con tutta probabilità nemmeno dopodomani. Se c’è una lezione che possiamo imparare da episodi come l’incidente occorso nei mesi scorsi al veicolo di Uber – che ha travolto e ucciso una donna durante i test – è quanto la fretta sia cattiva consigliera. Stiamo pur sempre parlando di automobili, mezzi di trasporto che si trovano a viaggiare in contesti dove le variabili in gioco sono pressoché infinite. Mettiamo da parte ipotesi eccessivamente ottimistiche o facili entusiasmi e concediamo a chi se ne occupa il tempo necessario per testare, sbagliare e correggersi.
Solo così potrà aprirsi una nuova era della mobilità . Non da un giorno all’altro, ma progressivamente. Allora saliremo su un veicolo senza volante né pedali e saremo pronti a intendere il viaggio in modo nuovo.