I vertici dell’ONU si definiscono seriamente preoccupati per la natura e per la gravità delle prove emerse nel corso delle indagini a proposito della violazione dello smartphone di Jeff Bezos. Attacco che ha permesso di sottrarre informazioni riservate e contenuti di natura privata dal dispositivo, con le conseguenze di cui abbiamo più volte scritto su queste pagine.
Jeff Bezos e Mohammed bin Salman: indaghino gli USA
L’Organizzazione delle Nazioni Unite chiede inoltre agli Stati Uniti di approfondire la questione aprendo un’inchiesta ufficiale, alla luce anche del presunto coinvolgimento diretto di Mohammed bin Salman: il video MP4 contenete il codice maligno in grado di compromettere il telefono del CEO Amazon sarebbe infatti partito dal dispositivo personale del principe ereditario dell’Arabia Saudita, figlio del re Salman. I due si sono incontrati di persona per una cena a Los Angeles in data 4 aprile 2018.
L’esigenza è quella di far luce anzitutto su quello che viene definito un “tentativo di influenzare, se non mettere in silenzio, i report del Washington Post sull’Arabia Saudita”. Il riferimento è alla copertura fornita dalla testata (che ricordiamo è sotto il controllo di Bezos dal 2013) relativa all’uccisione di Jamal Khashoggi, scrittore e giornalista saudita avvenuta nell’ottobre 2018 presso il consolato del paese a Istanbul in circostanze ancora non del tutto chiarite.
Una questione intricata e dai potenziali risvolti sui rapporti diplomatici tra i paesi. Oggi emergono nuovi dettagli secondo i quali nel novembre 2018 Mohammed bin Salman avrebbe inviato sul telefono del CEO Amazon la fotografia di una donna dai tratti somiglianti a quelli di Laura Sanchez, giornalista ed ex conduttrice statunitense da più parti ritenuta nuova partner del CEO, prima che la storia diventasse di dominio pubblico contribuendo poi al divorzio multimiliardario dalla ormai ex moglie MacKenzie Tuttle. Ricordiamo che, stando a quanto emerso, la violazione del telefono sarebbe avvenuta circa quattro mesi prima (l’1 maggio 2018).
Lo spyware impiegato per l’operazione è secondo alcuni stato sviluppato dall’israeliana NSO Group, azienda specializzata in questo tipo di tecnologie, già responsabile del progetto Pegasus e messa sotto accusa da WhatsApp. La software house ha già smentito il suo coinvolgimento nella vicenda.