La pandemia ha determinato un forte e repentino cambiamento, ma al di là di questa considerazione superficiale è ora venuto il momento di comprendere nel dettaglio che tipo di cambiamento sia avvenuto, come si sia declinato nei vari settori e come si possa far tesoro di queste riflessioni nel momento in cui si sviluppano i progetti per il “poi”. Così nelle aziende come nel mondo della sanità, allo stesso modo grandi passi dovranno essere compiuti nel mondo della scuola. In questo ambito la trasformazione digitale ha determinato un vero e proprio stravolgimento di pratiche e consuetudini proprie di una istituzione millenaria: insegnamento e apprendimento, processi estremamente delicati ed importanti nella vita di ognuno di noi, affrontano infatti una sfida di grandissima responsabilità.
La scuola digitale: il caso Highlands Institute
I modelli ibridi sono stati declinati nella scuola in una didattica mista e l’Highlands Institute di Roma ne è un esempio. In collaborazione con Westpole (che ne ha curati gli aspetti tecnici), infatti, la scuola ha portato avanti un progetto che mette al centro la tecnologia attraverso tablet, lavagne elettroniche e risorse cloud. L’intero processo formativo viene riformattato su nuovi strumenti i quali non soltanto dettano le modalità dell’interazione, ma che cambiano radicalmente l’intero rapporto tra docenti e alunni, nonché tra gli alunni ed il materiale didattico. Un lavoro che nasce prima del Covid, ma che con la pandemia ha subito da una parte una accelerazione e dall’altra una conferma sulla bontà degli archetipi adottati:
Già prima dell’emergenza legata al Covid avevamo scelto di dotare tutti gli alunni di uno stesso tablet in classe, e tra le principali motivazioni formative alla base di questa decisione vi era quella di accorciare le distanze tra le diverse esigenze personali. Gli alunni che soffrono di condizioni legate a dislessia, discalculia o disgrafia spesso tendono a nascondere il più possibile queste problematiche e a non comunicarle all’esterno per un senso di forte difficoltà emotiva. Con uno strumento unico si favoriscono gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento grazie alla presenza di software nativi (come lettura vocale del testo, lente di ingrandimento per il font, browser appositi ecc.) e allo stesso tempo l’intera classe può sperimentare le potenzialità dello strumento tecnologico imparando a fare cose nuove. Per i più piccoli, l’introduzione del tablet è fatta passare inizialmente come un gioco, ma in realtà diventa immediatamente uno strumento che favorisce l’inclusione e lo sviluppo della creatività.
Francesco Gardini, docente di informatica nella scuola primaria Highlands Institute
Tutti sul medesimo strumento, nell’ottica di un ottimale approccio a bambini coinvolti in problemi di DSA ed al fine di stimolare ogni singolo alunno attraverso la creatività. Ma non solo: tutti dotati di una identità digitale basata su una mail dedicata, utile ad accedere in modo sicuro in cloud alle risorse didattiche disponibili e portando così nello stesso ambiente virtuale studenti, docenti e staff. Non è l’hardware a creare distinzioni e non è il software a creare confini: stesse basi di partenza, stessa piattaforma (cloud), tutti allo stesso piano e parimenti gestiti per imparare ad utilizzare al meglio tutte le risorse proposte.
Ecco così che il paradigma si è rapidamente ribaltato: quei dispositivi che a casa sono stigmatizzati come il buco nero entro cui muore l’attenzione e la proattività del ragazzo, nella scuola diventano leve capaci di solleticare l’attenzione e gli stimoli, sfruttando il particolare rapporto che i bambini hanno con le nuove tecnologie per ricavarne qualcosa di nuovo e di potente.
Ecco perché le tecnologie stesse non sono più un accessorio, ma sono diventate elemento cardine di questo processo sperimentale nell’istituto romano:
Dall’introduzione delle lavagne multimediali alle prime sperimentazioni con i tablet, come Istituto abbiamo sempre cercato di valorizzare le opportunità offerte dalla tecnologia in ambito scolastico, ovviamente l’arrivo improvviso del primo Lockdown ha poi impresso una forte accelerazione al processo, creando nuove criticità ma anche diverse opportunità. Sapevamo che il Cloud era una base solida sulla quale costruire anche perché dalle famiglie arrivava la necessità di introdurre un elemento di continuità di strumenti, materiali e dimensione scolastica. La nostra soluzione non è stata solamente fornire un tablet a ogni alunno, ma creare una vera e propria identità digitale: con un singolo indirizzo email è possibile accedere a tutti i servizi abilitati per quello specifico utente e al contempo l’organizzazione ha la possibilità di intervenire in modo mirato in caso di condivisione di file, mail o contenuti potenzialmente dannosi.
Manuel Gagliardi, responsabile sistemi informatici di Highlands Institute
La dimensione vera del progetto è però riassunta dallo stesso Gagliardi in quello che è l’obiettivo ultimo della sperimentazione: non fornire strumenti che i bambini debbono metabolizzare, ma insegnare ad imparare a sfruttare al meglio gli strumenti che il destino metterà loro a disposizione. Nulla è fondamentale per le nuove generazioni come imparare ad imparare: prima ancora della resilienza, occorre far propria la capacità di adattarsi, imparare, assumere un mindset elastico ed adattivo, in grado di evolvere rapidamente di fronte ad incertezze e cambiamenti. “L’obiettivo didattico che ci poniamo di raggiungere alla fine dell’emergenza non è quello di formare gli adolescenti di domani nell’utilizzo di un programma di scrittura o calcolo, ma di aprire loro le porte a strumenti che possono semplificare la vita e lasciargli la libertà di scoprirli, personalizzarli e utilizzarli a proprio piacimento“: un insegnamento che non dovrebbe essere proprio di un solo istituto, ma che dovrebbe incarnare la visione di famiglie ed istituzioni responsabili del futuro delle nuove generazioni.