Hollywood meditava di dispiegare la propria offensiva mediatica per orientare l’opinione pubblica, così che le istituzioni si sentissero sollecitate a collaborare alla causa dei detentori dei diritti, invocando un attivo supporto da Google e dagli intermediari ritenuti troppo neutri rispetto alle attività pirata condotte da terzi in Rete.
Questo è quanto sta emergendo dal contenzioso avviato in seguito alle rivelazioni emerse dalla breccia di Sony Pictures di fine 2014: nel corso dei mesi si sono appresi certi dettagli di come la Motion Picture Association of America stesse collaborando con il procuratore generale dello stato del Mississippi, Jim Hood, foraggiato per indagare su Mountain View e per dimostrare la sua complicità con certe attività illegali in Rete. Google è riuscita a bloccare temporaneamente le indagini, in attesa che la giustizia raccolga gli elementi necessari a valutare la liceità dell’operazione di Hood.
A supporto della propria posizione, Google ha ora sfoderato una conversazione intrattenuta via email tra rappresentanti della MPAA e dei collaboratori del Procuratore Generale del Mississippi: Hollywood, nel 2013, pianificava di mettere in atto una strategia mediatica volta, nelle stesse parole di MPAA ad “attaccare Google (ed altri che resistono ai tentativi del procuratore generale di confrontarsi con la pirateria online)”.
Gli elementi che MPAA individuava per perseguire lo scopo erano una agenzia di pubbliche relazioni, “finanziabile attraverso una non profit dedicata alla proprietà intellettuale” per mascherare le relazioni dirette con gli studios, e la complicità di Comcast e Newscorp, per declinare la campagna contro Google. Sarebbe stata innanzitutto fondamentale la presenza dei media agli incontri della National Association of Attorneys General , nel corso dei quali sarebbero stati mostrati dei documenti video e degli esperimenti condotti al momento che testimoniassero con che facilità un minore potesse acquistare medicinali, droghe illegali, armi e video per soli adulti con la mediazione del search e dell’advertising di Google. La campagna si sarebbe poi dovuta articolare attraverso un servizio su programma di richiamo come The Today Show e un quotidiano autorevole come il Wall Street Journal , che avrebbe dovuto ospitare un articolo nel quale gli investitori di Google invocassero una maggiore collaborazione da parte di Mountain View, così da suggerire la necessità di un cambio di atteggiamento, pena la perdita di valore in Borsa.
Google ha portato questo scambio di email a testimonianza degli intrighi che sarebbero poi sfociati nella subpoena con cui il procuratore Hood ha imposto a Google di rivelare dati relativi alle proprie attività e alle attività dei suoi utenti: spetta ora alla giustizia statunitense stabilire se l’intervento dell’ attorney general del Mississippi sia da considerare lecito.
Gaia Bottà