Pirateria e furti: questo il panorama dipinto dall’industria di Hollywood per descrivere l’attività di un cyberlocker come Hotfile, giudicato responsabile di agevolare le violazioni del diritto d’autore da parte dei suoi utenti. Gli studios dovranno però esercitarsi nell’uso della retorica per non violare le disposizioni emesse dal giudice incaricato di valutare il caso: i termini peggiorativi non saranno più ammessi nel dibattimento.
La richiesta era stata formulata da Hotfile il mese scorso nell’ambito del processo nel quale verrà effettuata la stima dei danni che la piattaforma dovrà corrispondere ai detentori dei diritti. Secondo i legali del cyberlocker, la semantica sarebbe di determinante importanza: i disfemismi di forte impatto ampiamente usati nella strategia di comunicazione dell’industria dei contenuti non sarebbero ammissibili, non nell’ambito di un processo.
“L’uso di termini peggiorativi (e ingiustamente pregiudizievoli) come pirata , pirateria , furto , ladri e rubare in riferimento alla difesa o ai fondatori di Hotfile” sarebbe illecito e avrebbe il solo intento di orientare la giuria , denunciava la piattaforma: Hotfile, del resto, è stato giudicato responsabile di agevolare le violazioni del diritto d’autore, ma non è stato riconosciuto diretto responsabile delle violazioni. Ma anche nel caso in cui fosse stato giudicato direttamente responsabile della violazioni, osservava Hotfile, la scelta semantica degli studios non avrebbe altro effetto che quello di “aizzare la giuria in maniera indebita”.
Sul fronte dell’accusa, MPAA ha giustificato la propria retorica con la necessità di sintesi , semplificazioni che per l’industria dei contenuti sono altresì un cavallo di battaglia per le proprie campagne contro l’illecito. Spiegare il file sharing illegale come furto del frutto del nostro lavoro è indubbiamente più efficace che illustrarlo come la realizzazione di una copia digitale di un’opera protetta dal diritto d’autore che non pregiudica la sottrazione di una copia fisica e che si è ancora incerti nel considerare corrispondente a una mancata vendita . “Termini come pirateria e furto – spiegava MPAA – sono spesso usati nelle decisioni dei tribunali, nelle leggi, nel linguaggio quotidiano per descrivere la condotta in cui si intrattengono Hotfile e i suoi utenti, e per cui la Corte li ha già ritenuti colpevoli”. Proibirne l’uso, dunque, complicherebbe l’operato dei partecipanti al processo e dei testimoni, e li costringerebbe a rinunciare alle parole che usano quotidianamente per il loro lavoro per impiegare “frasi complicate ed eufemismi”: l’apparato retorico dell’industria dei contenuti sarebbe dunque tanto solido da non poter essere scardinato senza scardinare le dinamiche professionali che sorreggono la tutela del diritto d’autore.
Il giudice Kathleen Williams, incaricata di valutare il caso, ha dato ragione a Hotfile, proibendo l'”uso di termini peggiorativi”, ma non quello di “termini usati nell’ambito specifico”. Il giudice non è entrato nei dettagli delle parole ammesse, non è dato sapere quali dei termini elencati da Hotfile venga considerato “peggiorativo” e quale appartenente al gergo tecnico: del resto, nemmeno l’industria dei contenuti sembra avere mai fatto alcuna differenza.
Gaia Bottà