Lungi dal potersi considerare conclusa, la vicenda HP-Autonomy continua a far discutere all’esterno ma soprattutto all’interno dell’industria tecnologica: l’acquisizione che ha generato un buco enorme nei conti di Hewlett-Packard è stata gestita male, anzi malissimo, e a dirlo è una persona che dovrebbe essere molto ben informata sui fatti.
L’accusa nei confronti del management di HP arriva da Mike Lynch, founder di Autonomy che respinge le accuse di frode – su cui ora si pronunceranno le corti statunitensi – e sostiene di aver informato il CEO di HP Meg Whitman della situazione già due mesi prima della conclusione dell’operazione.
L’integrazione fra HP e Autonomy stava presentando “problemi significativi” capaci di impattare negativamente sulle performance, ha sostenuto Lynch in una lettera resa pubblica prima della riunione degli azionisti tenutasi nelle scorse ore, e Whitman era stata resa edotta su tali problemi.
Lynch ha esortato il Consiglio di Amministrazione affinché fornisse le risposte richieste dagli azionisti e dal pubblico, ma alla conclusione della riunione – tenutasi al Computer History Museum di Mountain View – non si sono viste né le risposte né assunzioni di responsabilità da parte di alcuno.
Il peggior affare della storia recente di HP sarebbe stato paradossalmente tenuto in salamoia da azionisti e amministratori, e a parte qualche polemica di contorno – non pertinente né ad Autonomy né al mondo tecnologico in sé – è filato tutto liscio. Restano i gravi problemi strutturali del business di HP e della direzione da prendere in futuro, mentre tutti e 11 i membri del consiglio di amministrazione sono stati confermati alla guida della corporation.
Alfonso Maruccia