A Palo Alto, dove si trova il suo quartier generale, qualcuno deve aver voglia di smarcarsi: nelle ultime settimane HP ha dato prova di essere notevolmente interessata al know-how relativo ai sistemi operativi snelli e alternativi, prima con l’ acquisizione di Palm e del suo WebOS, e ora con l’acquisto da Phoenix delle tecnologie denominate HyperSpace, HyperCore e Phoenix Flip . La contropartita per l’accordo si aggira sui 12 milioni di dollari.
In tutti e tre i casi si tratta di asset e competenze necessarie a gestire un OS del tipo “instant on” (ovvero con tempi di caricamento quasi azzerati, da avviare subito dopo l’accensione della macchina), basato su Linux , in modalità stand-alone o client-server. HyperCore è un Zoned Virtual Machine Monitor (ZVMM), ovvero un elemento software organico al BIOS in grado di funzionare contemporaneamente ad un sistema operativo caricato regolarmente (es: Windows), così da gestire alcune attività in parallelo (così da abilitare il funzionamento dell’ hypervisor tipico degli ambienti virtualizzati). Phoenix Flip consente invece di tenere contemporaneamente caricati in memoria due diversi sistemi operativi, e di alternarsi tra la coppia alla bisogna.
HyperSpace invece dovrebbe permettere di creare computer (come se ne erano già visti in giro, anche prodotti da HP) con a bordo due diversi sistemi operativi: uno dotato di funzionalità ridotte ma più leggere e più veloce da avviare, l’altro completo e più ortodosso nelle caratteristiche e nelle capacità. È in grado di operare sia su processori x86 che ARM , consuma pochissimo (in termini di risorse hardware e di energia), e dovrebbe anche garantire gli utenti rispetto a malware e attacchi esterni in generale.
La mossa di Phoenix, in un momento in cui di sistemi operativi leggeri e veloci si fa un gran parlare (uno su tutti: Google Chrome OS ), non sorprende: da tempo il management dell’azienda ha resa nota l’intenzione di dismettere tutto quanto non sia strettamente parte del core-business aziendale, che d’ora in avanti resterà focalizzato esclusivamente sulle tecnologie relative ai BIOS e più in generale al software che gira alla base di molteplici soluzioni hardware. D’altronde, osservano gli addetti ai lavori, virtualizzazione e OS minimali non hanno mai garantito successi clamorosi all’azienda.
L’acquisizione di questi asset da parte di HP, invece, a un mese di distanza da un’altra importante mossa riguardante Linux e gli OS alternativi all’ecosistema Wintel, solleva gli stessi interrogativi che in molti si sono posti in queste settimane: che intende fare l’azienda di Palo Alto? In questo caso, 12 milioni sono bruscolini di fronte al miliardo che si accinge a scucire per Palm: ma è indubbio che in California stiano facendo shopping con qualche idea in testa, non è ancora ben chiaro se per sviluppare device “intelligenti” o se per lanciare una nuova linea di apparecchi assimilabili a PC e smartphone inseriti in un ecosistema analogo a quello portato avanti da Apple. Possibile anche una rincorsa alla leadership di VMWare sul terreno della virtualizzazione.
Luca Annunziata