I cittadini iraniani non potranno più stampare con macchine HP, non potranno più contare sull’hardware dell’azienda americana. Hewlett Packard si adegua all’embargo imposto dagli Stati Uniti all’Iran: ha annunciato di voler impedire che qualunque proprio prodotto possa raggiungere il paese.
Ad innescare sospetti e accuse è un’ indagine condotta dal Boston Globe : il quotidiano racconta di forniture che approdano in magazzini di Teheran, di scatoloni marchiati HP che sciamano per le vie della città a bordo di motociclette, pronti per comparire nelle vetrine dei rivenditori. Non si tratterebbe di un traffico che si dispiega nel mercato nero, ma di una consolidata pratica commerciale condotta da clienti del colosso statunitense fin dal 1997.
Due anni prima, l’amministrazione Clinton aveva disposto il blocco delle esportazioni nei confronti dell’Iran: le aziende statunitensi non avrebbero dovuto partecipare all’economia di uno stato ritenuto responsabile di avere in cantiere un programma nucleare e di finanziare organizzazioni come Hamas. Ed è proprio nei giorni delle violenze che infiammano la striscia di Gaza e che si ripercuotono nel resto del mondo che emergono i dettagli relativi a presunte tattiche commerciali di HP sul mercato iraniano.
Il Boston Globe considera che lo snodo delle operazioni HP in Iran fosse rappresentato da un’azienda con base a Dubai , Redington Gulf: fino a pochi giorni fa il sito di Redington Gulf raccontava che nel 1997 l’azienda era cresciuta distribuendo prodotti HP in Iran. Il quotidiano si è limitato a tracciare un quadro edificato sulle speculazioni: se HP avesse distribuito prodotti in Iran consapevolmente, servendosi di un intermediario, sarebbe senza dubbio soggetta a pesanti sanzioni per aver violato l’ embargo imposto dagli States . In caso contrario, qualora l’azienda non fosse stata a conoscenza dell’attività di Redington Gulf, la situazione del colosso californiano sarebbe potuta ricadere in un’area grigia, a cavallo tra legalità e violazione.
Se i vertici di HP si sono limitati nei giorni scorsi ad assicurare che le proprie attività non collidono in alcun modo con le disposizioni statunitensi, se altrettanto ha dichiarato Redington Gulf attraverso la propria home page , negli scorsi anni manager di Hewlett Packard si sono espressi in maniera esplicita riguardo alle opportunità commerciali connesse all’Iran. Ma dagli Stati Uniti solamente i generi di prima necessità, come cibo e medicinali, possono filtrare attraverso i confini iraniani. “I computer e i prodotti informatici – spiega un rappresentante del Dipartimento di Stato americano – sono fondamentali nell’attuale economia: impedire le relazioni commerciali per questo tipo di prodotti è molto più determinante rispetto a tipi di prodotti più ordinari e sostituibili”. È per questo motivo che gli Stati Uniti non sembrano intenzionati ad ammorbidire l’embargo nei confronti dei paesi ritenuti responsabili di “supportare il terrorismo su scala internazionale”.
La ricostruzione delle operazioni condotte da HP tracciata dal Boston Globe , che sembra ricalcare esattamente quelle di altre aziende statunitensi che sono incorse in sanzioni per aver distribuito i propri prodotti in Iran contando su intermediari localizzati a Dubai, ha però spinto il colosso californiano a ritornare sui propri passi. HP ha ammesso di essere a conoscenza delle operazioni di Redington Gulf specificando peraltro di non intrattenere alcuna forma di commercio diretto con l’Iran, ha annunciato di voler impedire anche l’eventuale azione di distributori indipendenti. Hewlett Packard ha promesso di “proibire esplicitamente la vendita di prodotti HP in Iran”: HP non contribuirà ad alimentare un mercato che gli Stati Uniti temono possa sostenere gruppi come Hamas, non collaborerà indirettamente alla sopravvivenza e alla prosperità di organizzazioni che gli Stati Uniti combattono nel quadro della lotta al terrorismo.
Gaia Bottà