A poco più di un mese dall’ufficializzazione delle accuse mosse dagli Stati Uniti nei confronti di Huawei (con molteplici capi d’imputazione), il gruppo cinese replica facendo causa agli USA. La denuncia è stata depositata presso la corte federale di Plano, in Texas. Cita l’incostituzionalità della messa al bando dei propri prodotti stabilita da Washington.
Huawei fa causa agli USA
A finire nel mirino dell’azienda cinese è la Sezione 889 della revisione 2019 del National Defense Authorization Act (NDAA). Viene chiesta un’ingiunzione permanente nei confronti delle restrizioni che, tra le altre cose, vietano agli operatori d’oltreoceano di affidarsi alle apparecchiature e alle infrastrutture di Huawei per l’allestimento delle reti 5G. L’iniziativa è stata annunciata con una conferenza andata in scena a Shenzhen, presso il quartier generale della società. Di seguito un estratto con uno dei momenti più significativi della conferenza.
Nel suo intervento Guo Ping, attuale presidente del gruppo, ha sottolineato come nell’ormai più che trentennale attività, Huawei si sia sempre impegnata sul fronte della cybersecurity, senza mai aver nemmeno preso in considerazione l’ipotesi di installare backdoor all’interno dei prodotti commercializzati. La società non ha mai permesso di farlo nemmeno a soggetti terzi: qui è palese, seppur non esplicito, il riferimento al governo di Pechino.
In definitiva, per l’azienda, gli Stati Uniti non dispongono di prove concrete sulle quali basare le accuse mosse né hanno il diritto di chiedere ad altri paesi di mettere al bando le sue infrastrutture. Un atteggiamento di questo tipo, secondo Huawei, non solo è incostituzionale, ma finisce col penalizzare gli utilizzatori finali dei network mobile, impedendo loro l’accesso alla tecnologia o quantomeno a quella offerta dalla società.
Nell’emanare l’NDAA il Congresso ha agito in modo incostituzionale da giudice, giuria ed esecutore.
La vicenda si fa dunque più complessa. Da una parte gli USA che, tra le altre cose, hanno appena ottenuto dal Canada il via libera all’estradizione di Meng Wanzhou (CFO della società e figlia del fondatore Ren Zhengfei), dall’altra Huawei che si oppone fermamente al ban puntando sulla trasparenza del proprio operato, passando anche dall’apertura del nuovo Cyber Security Transparency Centre inaugurato nei giorni scorsi a Bruxelles, nel cuore dell’Europa, una location scelta in modo strategico.
C’è anche Huawei Mate X
Una curiosità: il gruppo cinese non ha perso l’occasione per mostrare il suo foldable, quel Huawei Mate X che abbiamo visto (ma non toccato) a Barcellona in occasione del Mobile World Congress. Lo smartphone pieghevole compare nelle mani di alcuni dirigenti come Yang Chaobin, numero uno della divisione al lavoro sui prodotti destinati ai network 5G.
L’era del 5G è alle porte
Tornando alla questione Huawei-USA, una soluzione non sembra essere dietro l’angolo, con i rapporti tra le parti che si fanno sempre più tesi: da un lato un colosso dell’universo mobile (e non solo), da alcuni ritenuto vicino al governo cinese, capace negli ultimi anni di fagocitare anche una fetta importante di market share nel settore smartphone, dall’altra una superpotenza.
I tempi però stringono, almeno per quanto concerne l’allestimento delle reti 5G, con gli operatori che si stanno muovendo in modo da garantire già entro l’anno la copertura delle più grandi città a livello internazionale. Il gruppo cinese rischia di rimanere tagliato fuori dal business legato alla fornitura delle infrastrutture e sembra intenzionato a fare tutto ciò che è in suo potere per scongiurare uno scenario di questo tipo.