Huawei Technologies ha denunciato ZTE per violazione di brevetti e marchi, rivolgendosi non ai tribunali della Cina (dove entrambe hanno sede), ma a quelli di Germania, Francia e Ungheria .
Il caso si discosta un po’ dalle ultime consuete guerre a suon di brevetti, non solo perché entrambe le aziende sono cinesi, paese tradizionalmente refrattario alla concezione occidentale dei diritti di proprietà intellettuale, ma anche perché l’accusa mossa a ZTE è, oltre a quella di aver violato una serie di brevetti Huawei relativi alla tecnologia LTE e alle schede dati, quella di aver venduto prodotti sfruttando il suo design e il suo stesso marchio. La violazione, insomma, sarebbe sotto gli occhi di tutti.
Inoltre Huawei dimostra di essere una vera e propria realtà nel campo della proprietà intellettuale: solo nel 2010 afferma di aver speso 1,7 miliardi di euro in ricerca e sviluppo in vista di nuove tecnologie e di aver raccolto quasi 150 milioni di euro in royalty. Ha cercato, afferma d’altronde, di sottoscrivere un contratto di licenza anche con ZTE che però ha sempre risposto picche alle sue richieste di cessazione della violazione e di trattative per eventuali accordi.
Ad aprire la possibilità di adire le corti europee, il fatto che i prodotti incriminati sono venduti anche all’estero e nei paesi in cui si è deciso di agire.
ZTE ha rispettato il gioco delle parti e si è dichiarata “attonita” per le accuse di Huawei: le respinge al mittente dichiarandole infondate e definendosi un’azienda quotata in borsa e rispettosa delle normativa internazionale in materia di diritto internazionale.
ZTE, inoltre, ha controdenunciato Huawei chiamando sempre in causa suoi brevetti relativi alla tecnologia LTE.
Claudio Tamburrino