La Corte di New York ha chiuso la class action depositata nei confronti del gigantesco aggregatore di notizie The Huffington Post da parte di un gruppo di blogger che chiedeva compensazione per lo sfruttamento senza retribuzione del loro lavoro.
L’accusa era quella di trattamento scorretto: l’offerta di lavoro del giornale/aggregatore fondato da Arianna Huffington parla di possibilità per i blogger di pubblicare i loro lavori senza remunerazione , ma con in cambio solo visibilità .
In particolare, l’acquisizione per 315 milioni di dollari della piattaforma da parte di AOL avrebbe messo in luce la discrepanza tra gli introiti generati e le condizioni offerte ai produttori dei contenuti.
Secondo il giudice John Koeltl, invece, quello che conta non è la sproporzione tra valore della piattaforma e (non) remunerazione dei blogger, quanto la chiarezza delle condizioni offerte dall’editore ed accettate dagli scrittori .
Schivate le conseguenze legali, TheHuffPost deve comunque pensare ora a come riprendersi da quelle legate all’immagine del sito e al suo modello di business che proprio della collaborazione con i blogger fa uno dei suoi punti di forza. D’altronde, l’aggregatore/giornale potrebbe continuare ad attirare giovani leve del giornalismo online attraverso la promessa della visibilità: una chimera di successo davanti alla quale pagamenti e dignità rischiano di passare in secondo piano.
Su questo punto sta d’altronde continuando a lavorare il promotore originale della class action, Jonathan Tasini, attraverso il blog workingforlife.org : “Stiamo usando la denuncia per dar vita ad un movimento e ad un’organizzazione che punta ad unire i blogger e stabilire uno standard per la loro remunerazione, perché l’idea che i creatori individuali debbano lavorare gratis è come un cancro che si sta diffondendo sempre di più”.
Claudio Tamburrino