Non basta controllarne i movimenti con hack e trucchetti : se li spupazzano, li chiamano per nome e incorniciano il loro certificato di nascita , provvedono ad agghindarli con vestitini . E pensare che i Roomba di iRobot , a differenza del celebre cagnolino Aibo , sono dei semplici aspirapolvere robot: pattugliano mansueti i pavimenti di casa, rimbalzano contro sedie e zoccolini con una goffaggine che infonde tenerezza, quando si sentono stanchi tornano alla base, dove li attende una carica di energia. Eppure le famiglie sembrano accoglierli meglio di aNDRew , il robot antropomorfo che ne ” L’uomo bicentenario ” si affranca dalla sua condizione di macchina.
Insospettiti dalla quantità di forum e post dedicati al robottino domestico, un team di ricercatori della Georgia Tech ha condotto un’ indagine per definire il rapporto che intercorre tra Roomba, due milioni di esemplari venduti, e i suoi proprietari umani.
Persino ad Engadget si mostrano sorpresi dall’esito della ricerca: i proprietari, spiega ad AP la ricercatrice Beki Grinter, vogliono realmente bene ai loro collaboratori domestici , proiettano sui robottini la loro affettività, li aiutano nelle pulizie spostando sedie e mobilio perché Roomba non si affanni, e si sentono dispiaciuti quando Roomba si incastra negli angoli e tenta di liberarsi con fare ossessivo.
L’affetto nutrito nei confronti di Roomba sembra scaturire proprio dal fatto che l’aggeggio non è esplicitamente zoomorfo o antropomorfo. Contrariamente all’ ipotesi della uncanny valley formulata da Masahiro Mori, convinto che le persone sviluppino empatia nei confronti delle macchine proporzionalmente alla loro forma umana (salvo poi provare repulsione nei confronti delle macchine “quasi umane”), Roomba suscita un turbine di sentimenti proprio perché non appare invasivo, perché non tenta di sostituire la compagnia di amici o di animali domestici. Inaspettatamente, Roomba finisce per costringere i padroni a blandire cani e gatti, nel tentativo di mediare fra caratteri incompatibili e di temperare gelosie suscitate dal concorrente robotico. Roomba, mimetizzato da aspirapolvere , diventa il vero cucciolo di casa , da circondare di altri Roomba perché non si senta solo, da conservare anche se ammaccato, da acquistare anche se superfluo: l’automazione domestica sembra aver trovato nell’emozionalità un grimaldello per una sempre più diffusa accettazione.
Coloro che si occupano di emotional design piuttosto che sulle forme dovranno puntare sugli ” atteggiamenti ” delle macchine, che i proprietari tendono ad antropomorfizzare: i segnali che Roomba lancia una volta terminato un compito, l’incagliarsi ripetuto nelle pareti appaiono ai proprietari espressioni di una determinata personalità . È così che assegnano alle macchine un genere e un nome, si rivolgono loro con complimenti e rimproveri affettuosi come fossero bambini, e non esitano a tessere le lodi delle qualità e dei progressi dell’aggeggio, con amici e conoscenti.
Nonostante Roomba vanti l’innata capacità di concentrare su di sé l’attenzione dell’intera famiglia e di rendere le pulizie domestiche un momento aggregante, le donne di casa si dimostrano le più restie nell’esprimere affetto e sentimenti nei confronti del robottino. Addirittura, rimbrottano i mariti: “È il tuo giocattolo, spetta a te accudirlo”. Temono forse che il nuovo angelo del focolare rubi loro la scena? Temono forse che, al pari della donna robot di ” Io e Caterina “, Roomba metta a soqquadro la casa per dettare nuove regole e stabilire nuove gerarchie?
Gaia Bottà