C’è indubbiamente un gran bisogno di fondi di investimento nel settore hi-tech e non solo, come anche la nuova avventura del co-creatore di Netscape sta a dimostrare. Occorre però stabilire di che tipo di fondi si parli, delle dimensioni che l’intero sistema può permettersi di sostenere e dove valga realmente la pena correre rischi aspettando in cambio un ritorno economico sostanziale.
L’unica cosa certa, al moneto, è che i capitali di ventura sono in piena depressione, negli States vengono collezionati meno fondi che prevedono minori quantità di denaro. Secondo quanto comunicato dalla National Venture Capital Association nel suo ultimo rapporto, nel secondo quarto del 2009 le società di investimenti hanno messo insieme 25 diversi fondi per un totale di 1,7 miliardi di dollari, il più piccolo quantitativo raccolto dal 1996 e la minore somma di denaro impegnata in questo genere di operazioni dal 2003 .
Per dare un senso ai numeri, i 25 fondi attivati a giugno 2009 vanno confrontati gli 82 fondi e i 9,3 miliardi dello stesso periodo dell’anno scorso e ai 49 fondi (4,6 miliardi) del primo trimestre di quest’anno. La netta riduzione di capitali investiti non sorprende Mark Heesen, presidente della NVCA che descrive il fenomeno come la dimostrazione finale degli effetti della crisi economica, finanziaria e delle dot-com che dagli investimenti dipendono per vivere e proliferare.
“Nei prossimi cinque anni la nostra industria si contrarrà a causa di questo tipo di logoramento” dice Heesen, e da più parti si sottolinea come la cosa non sia per niente un male, anzi. Sono troppi 30 miliardi di dollari immessi ogni anno nei capitali di ventura, avverte Fred Wilson di Union Square Ventures , perché un simile livello di investimento dovrebbe corrispondere a 100 miliardi di dollari in uscita e “il business dei capitali di ventura non è mai arrivato a tanto in maniera consistente nel tempo”.
Una dimensione più realistica del business dei venture capitalist corrisponderebbe secondo Wilson a 15 miliardi di dollari all’anno, con 50 miliardi stimati in uscita. E parlando di realismo i capitali di ventura spesi sul mercato delle apps di iPhone sono sorprendenti nella loro copiosità. Spalmati su 17 start-up nate sulla scia del boom di vendite sull’App Store, i fondi investiti sulla piazza emergente ammontano a 100 milioni di dollari .
Per i capitalisti di ventura il rischio che vale la pena correre sarebbe quello delle applicazioni minime e interattive vendute su iPhone, i 58mila e più pezzetti di codice dati in pasto ai possessore del mini-PC travestito da smartphone di Cupertino con la speranza che magari, un giorno, ci sia un cospicuo ritorno economico. Applicando le aspettative sui ritorni già indicate da Wilson, infatti, con quei 100 milioni di dollari gli investitori si aspettano di guadagnare da un minimo di 510 milioni di dollari a un massimo di 1,5 miliardi nel solo 2009, e tutti questi soldi dovrebbero sgorgare proprio dai suddetti pezzettini di codice di intrattenimento, utilità o semplice divertissement . Una prospettiva che in pochi si azzardano a considerare realistica.
Alfonso Maruccia