Washington (USA) – Le major discografiche sostengono – ormai come una nenia – che il calo delle vendite dei CD dipenda anche dagli abusi del P2P, ma l’ultima indagine della Ipsos Insight ha almeno in parte sconfessato questa tesi .
Su un campione di mille adulti statunitensi, fra i quali 963 si considerano “appassionati di musica”, la società di rilevazione ha potuto constatare che la causa del declino delle vendite dei supporti ottici dovrebbe essere imputata soprattutto alle strategie industriali dei discografici.
Il 58% ha sostenuto che la qualità della musica distribuita è di qualità inferiore rispetto al passato; solo il 24% pensa che invece sia migliorata. Inoltre, come se non bastasse, il 51% ha dichiarato che i prezzi dei CD sono troppo elevati mentre il 23% si riconosce nella definizione “molto cari”.
Va detto però che gli intervistati si dicono convinti che effettivamente la pirateria abbia causato un calo delle vendite, compresa quella via Internet. La pensa così il 33% del campione, che si allinea dunque alla posizione degli industriali espressa in innumerevoli campagne informative. Il 29% sostiene invece che il calo si deve alla competizione con gli altri media e altri generi di contenuti, ma ben il 21% ha attribuito alla pessima qualità dei prodotti il calo delle vendite. Il 13% ha convenuto che sono i prezzi di listino a calmierare le vendite.
Lo smercio illegale di musica protetta da diritto d’autore è stato considerato dall’80% un furto ma, alla domanda “Ti informi se la musica che scarichi è o meno coperta da diritti?” , il 61% ha confermato di non badare al problema.
Insomma, per gli intervistati qualità e prezzi sono responsabili quanto lo sharing online illegale. L’idea di fondo è che con una musica di maggiore qualità, maggiore flessibilità nelle vendite e nei prezzi, con una moltiplicazione delle promozioni forse qualcosa potrebbe cambiare. Per ora il rifugio degli scontenti rimane Internet e il P2P, dove ogni giorno, in tutto il mondo, si riversano decine di milioni di utenti.
Dario d’Elia