Dal film “Sliding doors” all’approccio scientifico adottato dagli storici controfattuali (da non confondersi con l’ucronia tanto cara ai lettori di Philip Dick), suscita un certo fascino tra studiosi e semplici appassionati chiedersi quale corso avrebbe preso la Storia nei suoi innumerevoli bivi se non l’avesse deviata di un soffio il cosiddetto “battito d’ali di una farfalla nel golfo del Tonchino”. Cinque eventi mai accaduti, ma vicinissimi a concretizzarsi, stavano per cambiare l’IT con un effetto domino sino ai giorni nostri.
1973 – L’Eurocomputer unisce l’Europa
Analogo della serie 370 di IBM, puntava a divenire piattaforma dalle specifiche comuni per tutto il Vecchio Continente. Il tutto era in mano al consorzio Unidata composto da Siemens per la Germania, Philips per l’Olanda e CII per la Francia (cfr. “Information Technology Policy” di R. Coopey, p. 209) coinvolgendo nello sviluppo e produzione anche Svezia, Gran Bretagna e Belgio (cfr. “The European Enterprise” di H.G. Schroeter, p. 148).
La futura Unione Europea esisteva solo nei trattati e il suo panorama informatico non era meno disunito; gli Stati Uniti invece, riconosciuta la leadership di IBM, ne facevano testa d’ariete per dominare i mercati mondiali del settore. Come visto nei precedenti dossier, Russia e Giappone avevano intrapreso percorsi individuali tra cloni improbabili di modelli stranieri e produzioni in proprio soffocate da una audience forzatamente esigua nei numeri. Al contrario l’Eurocomputer, se ben gestito, sarebbe stato una risposta concreta, persino i russi stavano fornendo un loro fattivo contributo durante una delle cicliche fasi di distensione con una delle loro menti migliori, il pioniere dell’IT sovietico Isaak Bruk , anticipando così le aperture all’Europa Orientale avvenute solo molti anni dopo.
Avremmo vinto il gap che ci separava dagli USA svincolandoci dalle loro scelte in tale ambito, un salto paragonabile a quello dalle vecchie valute nazionali all’euro nella sfida economica allo strapotere del dollaro. Purtroppo i tempi non erano ancora maturi: a difficoltà burocratiche insormontabili – mancavano precedenti esperienze di joint venture internazionali di questo livello e la legislazione di conseguenza era carente – si aggiunsero ripicche campanilistiche nel non voler abbandonare i propri standard in favore di uno comune, ripicche sorrette da motivi di prestigio politico, quale l’ingerenza del governo francese nella CII. Tradite le aspettative iniziali di occupare una fetta di mercato del 30% per un giro annuale di 6 miliardi di marchi tedeschi, nel 1975 l’accordo si sciolse tra pesanti perdite accumulate dai suoi firmatari.
1981 – IBM lancia il suo PC col CP/M invece del DOS
L’episodio che ha goduto di una maggiore copertura mediatica tra i cinque illustrati, un clamoroso autogol della Digital Research regala a Microsoft la chance di siglare un accordo per la fornitura del proprio DOS in vista del lancio del PC IBM, sarà il grande salto nel mondo dei sistemi operativi per la casa di Redmond.
La vicenda, così nota da meritarsi uno spazio nel documentario della televisione pubblica americana PBS ” Triumph of the Nerds: The Rise of Accidental Empires “, vede Gary Kindall, patron della DR, finire ai ferri corti con IBM già durante le prime trattative sia sul metodo di compenso (Kindall insisteva su di un sistema di royalties), che sugli accordi di confidenzialità (il giorno che i delegati dell’azienda giunsero al suo ufficio lui era in volo e la moglie, sua socia in affari, si rifiutò di firmarli). E dire che era stato lo stesso Gates, essendo la sua compagnia ancora digiuna sull’argomento, ad indirizzare la IBM a loro.
Accantonata l’ipotesi CP/M , allora l’OS più popolare in quanto ad applicazioni disponibili, si rivolsero di nuovo a Bill Gates, il quale acquista di volata i diritti sull’86-DOS da una piccola azienda di Seattle per farne il futuro MS-DOS. Gli strascichi legali iniziano da subito: col primo attrito tra avvocati delle controparti Digital Research ottiene di inserire il suo OS tra i tre offerti con la nuova macchina (il terzo era l’UCSD Pascal) ma il prezzo sei volte quello del suo diretto avversario è una zavorra troppo onerosa. Partono in seconda battuta le accuse di plagio verso il prodotto MS cui il programmatore Tim Paterson risponde intentando causa per diffamazione .
Se il CP/M l’avesse spuntata Microsoft sarebbe comunque una grande azienda, dato l’indiscutibile fiuto per gli affari del suo fondatore e la diffusione capillare del suo BASIC, ma forse non così grande come siamo abituati oggi. E il CP/M (poi DR-DOS) avrebbe inforcato un’altra strada evolutiva, più simile alla VM del JAVA (invece ispirata dall’UCSD di cui sopra, ci dice Gosling!) alla luce della sua architettura interna.
1982 – L’SMTP implementa l’autenticazione
Ad agosto viene depositata la RFC 821 (ironicamente la sigla RFC indica “Request for Comments” ma in pratica si tratta quasi sempre di protocolli ormai accettati, sebbene suscettibili di aggiornamenti). In questo documento si delineano le caratteristiche dell’SMTP, il sistema di invio e consegna della posta elettronica.
Volendo andare ancora più indietro, le radici dell’idea del SMTP affondano al 1971, anno di invio della prima e-mail: stiamo parlando di piena era ARPANET, a quei tempi i pochi computer connessi erano riservati ai militari e ad una élite di informatici. Fatta questa debita premessa si capisce meglio in quale clima nessuno sia andato a preoccuparsi di inserire una qualche forma di autenticazione nell’invio dei messaggi: non era possibile spedirli da portatili o comunque fuori dai laboratori, e la serietà dei soggetti coinvolti non lasciava presagire quanto questa omissione avrebbe significato molti anni dopo un tallone d’Achille nel sistema alla mercé di spammer e truffatori. Tentativi vicini ai giorni nostri di rimediare al danno si sono infranti sullo scoglio della non-retrocompatibilità, che lascerebbe fuori milioni di utenti.
1983 – Atari distributore esclusivo mondiale del NES
La crisi dei videogiochi, causata da una valanga di cloni mediocri giunti a saturazione del mercato, aveva convinto i negozi di giocattoli che il divertimento digitale fosse stata solo una delle tante mode effimere. Nintendo, reduce da un cospicuo successo in patria, cercava un partner di prestigio per distribuire in esclusiva nel resto del mondo il NES, Atari sembrò il nome giusto. Addirittura la stessa console avrebbe preso il nome dalla compagnia californiana che l’avrebbe assemblata e venduta pagando una royalty ai nipponici.
Gli americani riuscirono però a darsi la proverbiale zappa sui piedi alla vigilia della firma: dopo tre giorni di trattative, si imbatterono al Consumer Electronic Show di Chicago in una conversione di Donkey Kong allo stand di Coleco. Interruppero subito ogni rapporto pensando ad un doppiogioco dei giapponesi col costruttore loro avversario ma il casus belli si rivelò più tardi del tutto infondato: Coleco aveva acquisito i diritti del platform per le console lasciando ad Atari quelli per computer, quel Donkey Kong sul Coleco Adam in fiera era là solo per mostrare l’edizione Colecovision e non era in vendita .
Yamanouchi, storico presidente di Nintendo, conscio dell’incidente diplomatico richiese subito la dismissione del gioco a Greenberg, suo equivalente a Coleco, che ubbidì nonostante, sul piano tecnico-legale, la faccenda non costituisse violazione dei termini. Nintendo si decise ad esportare in proprio quella che sarebbe diventata la console più venduta di tutti i tempi. Senza questo errore madornale Atari, già indebitata di decine di milioni di dollari e tenuta in vita solo dalla disponibilità di liquidi di Warner Bros, sua azienda madre, avrebbe riscritto la storia dei videogiochi sbilanciandola in favore degli statunitensi per almeno un decennio.
200 X – Microsoft acquisisce Yahoo!
Cicliche proposte di fusione, dal 2005 in poi, erano state liquidate da analisti come poco fattibili sul piano legale e finanziario, pure il CDA di Sunnyvale si è sempre mostrato renitente a vario titolo .
Andati vani gli approcci amichevoli, a febbraio 2008 Redmond ha tentato anche la carta della scalata ostile, rastrellando quote direttamente dall’azionariato al fine di sfiduciare i vertici e sostituirli. La resistenza ad oltranza di Y! ha generato cause da parte di investitori consideratisi danneggiati. A marzo si interessano Google e la News Corp. di Murdoch, una fusione tra Microsoft e Yahoo! sbilancerebbe il mercato, ed ecco che all’avvicinarsi della grande G sono gli inserzionisti ad insorgere. Temono un monopolio della pubblicità in Rete.
Insomma, i player troppo piccoli non possono permettersi la posta in gioco e quelli abbastanza grandi lo sono troppo per non suscitare l’intervento dell’Antitrust. Tra montagne russe delle quotazioni borsistiche e lotte di potere al vertice di Yahoo! tutto cambia per restare com’era.
Fabrizio Bartoloni
Tutti gli interventi di F.B. su PI sono disponibili a questo indirizzo