I colossi telematici del calibro di Facebook, Twitter e Google stanno parassitando il lavoro che i giornalisti fanno sul campo, dirottando i guadagni derivanti dall’advertising e mettendo a rischio uno dei pilastri fondamentali della democrazia.
È la nuova accusa rivolta dalle agenzie di stampa europee contro le aziende di Rete, che a loro dire dovrebbero essere costrette dalla UE a compensare in maniera adeguata i produttori di contenuti con nuove norme sul diritto d’autore.
È un appello , quello firmato da nove agenzie di stampa europee, che si rivolge direttamente alle autorità comunitarie affinché mettano fine a una deriva che è andata avanti per troppo tempo. Facebook è diventato il mezzo di comunicazione più importante del mondo , dicono le agenzie, eppure “né Google né Facebook hanno una sala stampa” o giornalisti operativi sul campo.
Il messaggio che le agenzie di stampa vogliono far passare è che i giornalisti rischiano la vita nelle zone calde del pianeta , gli editor controllano la veridicità delle informazioni e i mezzi di comunicazione “tradizionali” diffondono le notizie che finiscono poi per circolare in Rete.
L’accesso gratuito alle informazioni è “un mito” di Internet, dicono le agenzie, perché informare il pubblico è un’attività che costa molto denaro – quello stesso denaro che i colossi telematici rastrellano per se stessi rubando i guadagni della pubblicità.
Nella sola Francia, dicono le agenzie, l’anno scorso i ricavi dall’advertising sono crollati del 9%; è “un disastro” che mette a rischio la democrazia, perché la disponibilità di fonti di informazione varie e “affidabili” rappresenta uno dei pilastri del regime democratico.
Come se ne esce? A dire di AFP (Francia), DPA (Germania), Press Association (UK), EFE (Francia), ANSA (Italia), TT (Svezia), Belga (Belgio), APA (Austria) e ANP (Olanda), l’Europa deve intervenire con nuove regole per la compensazione del copyright espressamente dedicate al mercato dei media. Compensando i diritti connessi alla pubblicazione delle notizie, ad esempio, potrebbe servire a compensare il “vasto squilibrio” nei ricavi che oggi favorisce i colossi telematici a discapito di chi le news le produce di mestiere.