Web – Ci sono volute squadre di antropologi per misurare la distanza, e gli ostacoli, tra bambini e computer. Vengono infatti accolti come una rivelazione i risultati dello studio della Richardson, Myers and Donofrio , società di ricerca che, attraverso l’osservazione dei comportamenti, sostiene di aver portato la luce sulle barriere che dividono i più piccoli dalle macchine pensanti.
Per capire tutto ciò, i ricercatori hanno piazzato team di ricerca in cinque famiglie sparse tra Washington e Baltimora, intervistando pargoli tra 5 e 15 anni, chiedendo loro di tenere un diario sull’uso della tecnologia, cercando di cogliere l’approccio loro e della loro famiglia al computer. L’idea di fondo, dicono i ricercatori, era quella di non fermarsi all’approccio al computer ma di contestualizzarlo nell’insieme delle interazioni sociali e tecnologiche di ciascun ragazzino messo “sotto esame”.
Dopo cinque mesi di analisi, il progetto di ricerca chiamato GenWired avrebbe messo in evidenza una serie di barriere tra bambino e computer. La prima è la tastiera e la difficoltà che rappresenta il suo utilizzo a fronte del fatto che risulta più o meno indispensabile per utilizzare al meglio internet e il computer in generale. La tastiera, sostengono gli antropologi, rappresenta un problema grave almeno fino agli otto anni di età. Bambini di età maggiore, che pure hanno più facilità nella lettura di testi, per esempio, possono essere comunque ostacolati nell’uso del computer se non hanno ancora capito l’uso della tastiera.
Secondo il boss dei team di ricerca, Chuck Donofrio, “il problema è che la tecnologia che si usa è vecchia di quasi cento anni. Non c’è nulla di male nell’imparare ad utilizzare questi strumenti, ma se un’azienda vuole vendere un prodotto per computer pensato per i più piccoli, allora ha bisogno che l’interfaccia sia diversa”. E gli esperti ritengono che alcune delle tastiere più innovative, come quelle introdotte sul mercato americano da Gateway , risolvano solo parzialmente il problema, oltre ad essere praticamente introvabili…
“Il punto chiave – ha spiegato Donofrio – è che non basta pensare a delle modifiche alla tecnologia attuale, occorre pensare ad un nuovo mondo. Chi ha detto che il design attuale del computer è il modo migliore per farne uno strumento per crescere?”
Altri problemi arrivano con la difficoltà, mostrata dai più piccoli, di condividere l’oggetto-macchina con altri ragazzini, i fratelli ad esempio. Non è una novità, spiegano i ricercatori, ma il problema sta nel design del PC che è “asociale”. “Oggi, sostengono i ricercatori, l’unico momento nel quale il computer mette insieme le persone è quando c’è un problema legato al suo funzionamento e insieme si cerca di risolverlo”.
Terzo problema, dicono i ricercatori, è la facilità con cui i bambini si annoiano lavorando con programmi studiati per loro, quelli classificati come “edutainment”, un termine che vorrebbe raccogliere “education” (formazione) e “entertainment” (divertimento). Una sfida che sembra perduta. Una soluzione, afferma GenWired, potrebbe risiedere nel legare la soluzione di problemi a qualche genere di premio, magari da “somministrare” online.
Altre questioni rilevate dallo studio riguardano il posizionamento del computer nell’ambiente domestico, e quindi anche la sua accessibilità “fisica”, il ruolo della televisione e la percezione che del computer hanno i membri adulti della famiglia.
GenWired, comunque, non si chiude qui, perché ora le famiglie sotto osservazione sono diventate 30 e si cominciano a delineare comportamenti diversi in aree urbane o extraurbane. Con tutte le sorprese, assicurano i ricercatori, che ne possono derivare.
Lamberto Assenti