I conti in tasca a Steve Jobs

I conti in tasca a Steve Jobs

AppStore non è una miniera: semmai è una paghetta. Ma occhio a non confondere core business con gli accesori. I numeri, quelli di Apple, possono sempre sorprendere
AppStore non è una miniera: semmai è una paghetta. Ma occhio a non confondere core business con gli accesori. I numeri, quelli di Apple, possono sempre sorprendere

AppStore potrà anche essere, ed è, il più prolifico e trafficato marketplace per applicazioni mobile sulla piazza: ma di certo, ne sono convinti gli analisti Piper Jaffray , non è la gallina delle uova d’oro . Secondo le stime degli esperti, ottenute occorre premetterlo da estrapolazioni sui pochi numeri annunciati da Steve Jobs durante il keynote alla WWDC, la stragrande maggioranza dei download effettuati da AppStore riguardano App gratuite: quel che resta ha un prezzo medio prevalente di 1,49 dollari che, considerata la fetta che spetta ad Apple (il 30 per cento), non dovrebbe equivalere a un bottino particolarmente sostanzioso.

Dalla parte del costo di un’applicazione trattenuta da Cupertino, infatti, vanno tolti i costi di gestione del marketplace (che gira nelle nuvole e che avrà bisogno di fior fior di datacenter per girare), e i costi legati alla riscossione dei crediti dagli istituti che si occupano dei pagamenti: se venissero applicate le stesse tariffe già viste su iTunes Store, la trattenuta degli istituti che gestiscono le carte di credito si aggirerebbe sui 20 centesimi di dollaro più il 2 per cento (circa 22-23 centesimi in media). I conti sono presto fatti : 1,49 dollari è il costo totale dell’applicazione, il 70 per cento va allo sviluppatore (1,04 dollari), 22 centesimi alle carte di credito, qualche spicciolo per la gestione (almeno 1-3 centesimi), ed ecco che a Steve Jobs restano appena circa 20 cent .

Non è poco, tutto sommato: la stima degli analisti è che queste cifre rapportate a 5 miliardi di applicazioni vendute (di cui circa 1 miliardo a pagamento) equivalgano ad almeno 400 milioni di dollari e oltre di introiti, equivalenti a 190 milioni di profitti . Cifre di tutto rispetto, ma che rapportate a quanto nel frattempo Apple ha guadagnato in totale (quasi 34 miliardi di dollari) appaiono quasi spiccioli: milioni contro miliardi, ma non è per i soldi che Apple ha deciso di investire in un’attività che gli costerà milioni di dollari in infrastruttura e costi di trasmissione per la vendita (anche delle applicazioni gratuite).

Dalle cifre di Piper Jaffray si dedurrebbe che la circolazione del materiale su AppStore sarebbe robusta, più consistente di quella di iTunes Store: gli utenti scaricherebbero più applicazioni che canzoni , attratti dalla quantità di software a disposizione sulla piattaforma. In questo senso, il ristretto margine garantito dalla vendita delle applicazioni (l’1 per cento del fatturato, ancora meno in proporzione rispetto a utili di oltre 3 miliardi di euro) sarebbe un ottimo viatico alla vendita di hardware : iPhone, iPod Touch e iPad, senza considerare i benefici indiretti per quegli utenti che decidessero di emigrare definitivamente nell’ecosistema Apple acquistando un Mac.

I numeri, sempre incasellati dagli analisti, mettono in luce proprio questo aspetto: crescono le vendite di iPhone soprattutto sul mercato internazionale, il marketplace di Apple viene visto con favore e come un punto di vantaggio rispetto ai concorrenti , le previsioni su vendite e profitti sono destinate nella maggioranza dei casi a essere smentite (e superate ).

D’altronde, la vitalità del comparto smartphone è attualmente talmente rigogliosa da consentire a tutti di ritagliarsi uno spazio dignitoso, nel quale ciascuno possa tentare di portare avanti i propri affari e il proprio business model .

Luca Annunziata

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Pubblicato il
24 giu 2010
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