Aumenta la temperatura del P2P e gli usi legali delle reti di sharing: l’ultima notizia è che alla Baia dei Pirati, il nemico pubblico numero uno delle major, The Pirate Bay , è stato chiesto di divenire il veicolo ufficiale di distribuzione di 70 brani gratuiti. Di contrasto, in ottemperanza alla tradizionale schizofrenia dell’industria dei contenuti sul fronte Internet, in Russia si pensa alla galera per chi ha creato i negozi di mp3 a prezzo stracciato e negli USA si lavora per definire le reti P2P un rischio per la sicurezza nazionale, capaci di provocare una “Pearl Harbor digitale”.
Labrador Records sarà anche una “semplice” etichetta indipendente svedese, ma la sua ultima iniziativa, pubblicizzata in homepage come una soluzione tecnica efficace alla pressante richiesta di “buona musica per l’estate” da parte degli utenti, va nella direzione dello sdoganamento definitivo e senza possibilità di appello del P2P come strumento di distribuzione evoluto, svincolato dalla tradizionale favola nera sulla “piaga dell’umanità e della musica” raccontata di continuo da RIAA&sodali.
L’etichetta si muove in tal senso dopo i recenti episodi degli MP3 sponsorizzati di Atlantic/Warner e delle playlist radiofoniche costruite a colpi di hit da condivisione: i server a disposizione di Labrador non sono in grado di gestire il carico di richieste per il download delle 68 tracce di Labrador Summer Sampler 2007 , ragion per cui si è pensato di pubblicare il tutto sulla Baia dei Pirati Impenitenti , lasciando che siano gli stessi torrentisti, avidi appassionati di materiale musicale, a fare da volano alla distribuzione del sampler .
Non sarà forse un’iniziativa condotta con il beneplacito del potentato del disco USA, ma “considerando che metà del lavoro di un’etichetta musicale è la distribuzione”, suggerisce Zeropaid , e l’altra metà la produzione, c’è una buona possibilità che stavolta i sonnacchiosi manager delle grandi sorelle musicali si sveglino un po’ dal torpore della cantilena “condivisione uguale pirateria”, realizzando finalmente quale portentosa capacità di diffusione e promozione della musica sia celata nella natura stessa del P2P.
Non che a breve ci si debba attendere una rivoluzione in tal senso: l’attività di lobby dell’industria sulla politica corrotta malleabile è sempre forte, come dimostra la recente udienza del Comitato sulla Supervisione e la Riforma di Governo USA, incentrata sui possibili effetti della condivisione “accidentale” su P2P di contenuti riservati, potenzialmente in grado di mettere a rischio la sicurezza nazionale della iperpotenza americana.
Il dibattito ha preso il la da una recente investigazione condotta su LimeWire, grazie alla quale è stato possibile individuare tracce di transazioni bancarie personali e dichiarazioni dei redditi, corrispondenza tra cliente e avvocato, strategie industriali delle 500 aziende più floride del mondo, documenti aziendali confidenziali, note interne di campagne politiche e persino ordini per operazioni militari.
Un problema che ha portato il comitato a porsi tre questioni, e cioè se il P2P accidentale crei un rischio inaccettabile per i consumatori, le aziende e il governo , quanto sia esteso nel caso tale rischio e se sia il caso per il Congresso di intervenire direttamente con una legislazione specifica.
Nel suo approfondimento , Zeropaid mette in evidenza le tante falle delle questioni sollevate nei confronti del P2P, non ultime l’assoluta inadeguatezza delle politiche di sicurezza dei sistemi informatici governativi – con i feds che condividono gli archivi riservati e perdono laptop con informazioni sensibili a spron battuto – e la costante mancanza di “buon senso” da parte delle persone coinvolte nella catena di gestione dei dati – pubblica o privata che sia – come nel caso eclatante della messa in condivisione delle informazioni su quasi 16mila impiegati del gigante farmaceutico Pfizer.
Questioni che ben difficilmente potrebbero risolversi con nuove leggi, e che potrebbero far nascere nell’industria multimediale e i suoi emissari, suggerisce ancora Zp , la voglia di spalleggiare una class-action globale contro prodotti, i software per lo scambio file, giudicabili “difettosi” nella misura in cui gli utenti non siano stati sufficientemente avvertiti della possibilità di violare il diritto d’autore e si sentano per questo danneggiati.
In Russia, RIAA non ha bisogno dell’aiuto di politici locali e agisce in modo molto più diretto: a dimostrazione del fatto che la recente sentenza che obbliga Visa ad avere a che fare con gli store russi di Mp3 a prezzi stracciati non è andata giù all’establishment: ora i magistrati russi si preparano a chiudere in una cella Denis Kvasov, ex-proprietario del defunto AllOfMP3.com .
Kvasov, oltre alla galera, rischia anche di vedersi propinare una multa di 15 milioni di rubli. Non è poi chiaro come intendano muoversi le autorità nei confronti dei figliocci di AllOfMP3.com come MP3sparks.com e Alltunes, che hanno ereditato l’enorme catalogo del genitore e non sono finora finiti sotto il mirino del Cremlino. Di certo c’è che la questione è ben lungi dal potersi dire conclusa.
Alfonso Maruccia