Roma – Nonostante l’invito al furto fosse esplicito, Steal This Film II ha guadagnato cinquemila dollari in donazioni dopo soli quattro giorni dal rilascio.
Steal This Film II, secondo episodio di una serie di documentari dedicata ai concetti di cultura e di proprietà intellettuale in rete, è disponibile online solo da pochi giorni ma è già stato scaricato 150mila volte. Nell’intento di stimolare la creatività nello scardinare i sistemi tradizionali di distribuzione dei contenuti, il film propone alla platea dei netizen un messaggio che è anche metatestuale: pronto per essere rubato dal sito dedicato, disponibile per il download nei formati più disparati, il prodotto è offerto in maniera completamente gratuita, con l’invito di condividere e far circolare messaggio e prodotto sulle piattaforme di video sharing e sulle reti P2P.
L’aspetto delle donazioni non è che un elemento secondario: è esplicito l’ incoraggiamento a sostenere la causa dei produttori con una quota a proprio piacimento, ma non esiste alcun obbligo di ricompensare gli autori del prodotto. Un modello adottato già in occasione del primo episodio, e ricalcato in via sperimentale anche nell’ambito della musica da Radiohead e seguaci .
Ma se la quota raggranellata con il primo film non è bastata nemmeno a coprire le spese del secondo documentario, i dati relativi alle donazioni per Steal This Film II sembrano più che incoraggianti: uno spettatore su mille ha ricompensato gli autori del documentario, sborsando volontariamente cifre che spesso hanno sfiorato i 40 dollari , decisamente più di un biglietto del cinema o di un DVD. Dati che, pur essendo raccolti a pochi giorni dal rilascio del documentario, suggeriscono che un modello distributivo fondato sui contributi volontari degli utenti potrebbe rivelarsi sostenibile anche nell’ambito di iniziative di stampo commerciale.
È proprio questo l’intento del progetto, da raggiungere con lo schema distributivo proposto e con le argomentazioni esposte nel documentario: sensibilizzare l’industria dei contenuti e dimostrare come le dinamiche tradizionali per la retribuzione degli autori possano essere superate da meccanismi più flessibili, che non costringano i produttori di contenuti a criminalizzare gli utenti che sfruttano la rete per mettere in circolazione la cultura.
Gaia Bottà