Roma – Questione di coni e bastoncelli , ma più precisamente di nanotubi che ne imitano il comportamento. La tecnologia sviluppata in California dagli scienziati dei Sandia National Laboratories sfrutta infatti i piccoli reticolati di carbonio per creare dei dispositivi sensibili all’intero spettro della luce visibile : con possibili impieghi nel campo della medicina, del fotovoltaico e dei sensori per le macchine fotografiche.
All’intero dei sensori attuali, i fotoni che colpiscono un dispositivo a semiconduttore mettono in funzione un meccanismo di conduzione degli elettroni: misurando le variazioni di corrente, gli apparecchi in commercio trasformano le radiazioni in informazione digitale da immagazzinare in memoria. Nel prototipo Sandia, invece, i nanotubi di carbonio vengono ricoperti di molecole sensibili a diverse lunghezze d’onda della luce , tarate sui tre classici colori rosso, verde e blu: quando la luce colpisce queste molecole – l’equivalente dei fotorecettori umani – fa variare la loro inclinazione rispetto al nanotubo, che a sua volta varia di conseguenza la sua conduttività.
Misurando questa variazione è possibile determinare l’intensità e il colore della luce che ha colpito il sensore a nanotubi. Essendo ciascuno di questi ultimi spesso appena 1 nanometro, la risoluzione dei nuovi chip è destinata ad essere molto buona: in poco spazio andrebbero moltissimi “punti” sensibili, che potrebbero formare un sensore capace anche di misurare bassissime quantità di luce senza particolare disturbo. Si tratta ovviamente di un meccanismo ancora sperimentale e per niente raffinato: in potenza, tuttavia, la somiglianza del sistema sviluppato dai Sandia Lab con l’effettivo funzionamento dell’occhio umano apre interessanti prospettive.
Venendo al versante medico, infatti, giova ricordare che i nanotubi nei prossimi anni potrebbero venire facilmente fabbricati “stampandoli” su un substrato organico. Scegliendo con cura un polimero biocompatibile, produrre retine artificiali da impiantare ai pazienti che per qualsiasi motivo dovessero ricorrere alle cure mediche non sarebbe un obiettivo troppo campato per aria. Se poi, come preannunciato dai ricercatori, ci fosse la possibilità di estendere l’intervallo della luce visibile anche alle frequenze infrarosse e ultraviolette, ci si potrebbe ritrovare dotati di una vista anche superiore a quella di un comune essere umano.
Difficile comprendere come questa ricerca possa interessare gli scienziati dei Sandia National Laboratories, ente statunitense che è solito concentrare le sue attività nel campo militare. Ma a pensarci bene non è poi una circostanza così strana: un occhio bionico , un sensore ottico di nuova generazione più preciso e perfezionato di qualsiasi cosa l’abbia preceduto, farebbero senz’altro la felicità delle forze armate. Così come dei produttori di elettronica di consumo e, soprattutto, dei medici impegnati con le protesi biocompatibili: quale che sia la provenienza della scoperta, i pazienti la accoglieranno senz’altro a braccia aperte.
Luca Annunziata