Ricevo da un po’ di tempo e-mail di persone che mi chiedono “Cosa si può fare per cambiare la realtà del lavoro in Italia?” In una parola: come si esce dal precariato degli 800-1000 euro? Sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, è una cosa che tocca tutti noi. Si è stimato che ormai ogni italiano ha un parente, un amico od un conoscente precario.
Sappiamo anche che per l’IT, data la forma di sub sub sub appalto accettata dagli utenti e legalizzata dallo Stato, questo modo di lavorare è ormai la regola. Fatto 100 il prezzo che paga il cliente, il lavoro è sub appaltato ad un’altra ditta per 50 che la sub appalta a 20 che prende una persona per 2 e gli fa fare il lavoro. La responsabilità del lavoro e della sicurezza ricade poi sull’ultima ditta, che in molti casi esiste ed è stata creata solo per quel particolare lavoro.
Non parliamo poi delle cooperative, in cui gli impiegati sono essi stessi “soci” ed accettano invece di un contratto collettivo di lavoro, un canovaccio detto “Regolamento della cooperativa”, in cui tra le varie clausole vi è il licenziamento immediato in caso di mancanza di lavoro ed il pagamento solo per le ore realmente lavorate: il massimo del brutto capitalismo dove il rischio d’impresa è totalmente sulle spalle del dipendente.
Dal governo, attuale o futuro che sia, è chiaro che ci si debba aspettare molto poco. Ancora oggi da entrambe le parti che si preparano a governare questo paese vi sono solo elogi a questa legge che nelle intenzioni è buona, permettendo una certa flessibilità per sopperire a carichi di lavoro imprevisti, o per Business che per sua natura sono soggetti a carichi di lavoro impossibili da prevedere o programmare, ma che nella realtà è mancante di fondamentali strumenti quali gli ammortizzatori sociali e seri controlli per evitare appunto quello che tutti sappiamo. Ricordo un caso per tutti: le 6.000 persone del call center, tutte con contratto a progetto, che in realtà, come accertato, svolgevano un lavoro dipendente a tutti gli effetti.
L’alternativa immediata ed indolore è emigrare. Una brutta parola per ammettere che nel nostro paese si è cosi in basso che si è iniziato a scavare. L’emigrazione è comunque una fuga, ma cosa possono fare coloro per i quali quest’opzione è inapplicabile o inaccettabile ?
Ci ho pensato su e mi sono detto: come nessuno pensa di studiare un algoritmo di sort, ma si limita a ricercarne uno già implementato, cosi basta aprire gli occhi e cercare come altre categorie di lavoratori hanno risolto il problema e la risposta è giunta da sola: consorziarsi.
Mi spiego meglio. Mettiamo da parte le professioni, (anche se il discorso è uguale, perché ora la tariffa minima è stata abolita) e prendiamo in esame un lavoro tecnico.
Diciamo che io voglio far riparare il mio scooter. In qualsiasi officina autorizzata io vada, il prezzo della manodopera è di 40 euro/ora circa. Prezzo imposto mi dicono.
Bene, allora mi rivolgo altrove, i prezzi variano, ma meno di 20 euro l’ora non trovo nessuno disposto a riparare il mio scooter. Perché?
Perché tutti i meccanici sono tra di loro consorziati (inconsapevolmente, magari) e sanno bene che nessun loro collega si svenderebbe. Se ti svendi, abbassi il prezzo del tuo lavoro e quindi ti ritrovi poi a fare la fame.
La stessa cosa succede con qualsiasi categoria professionale!
Provate Voi stessi ad offrire un decimo o solo un quinto del compenso standard ad un tecnico professionista e l’unica risposta che otterrete è un cortese “provi altrove”.
Perché allora per l’IT che, come ripeto sempre, è fatto di “risolutori di problemi”, ai tecnici specializzati che spesso uniscono alle notevoli competenze tecniche capacità interpersonali e di marketing non indifferenti per il raggiungimento degli obiettivi di Business si offre un compenso irrisorio (rispetto al compenso che la ditta riceve) ?
La risposta è semplice: perché le persone IT sono divise e si svendono e per uno che rifiuta vi sono altri 10 che accettano condizioni da fame.
Qui a Roma le ditte IT sono concentrate nella zona Eur. Diciamo che impiegano 40.000 precari. Che cosa succederebbe se 20.000 di loro rifiutassero il solito stipendio?
Se fosse impossibile per le ditte trovare qualcuno che lavori per loro alle condizioni di “Schiavi Moderni” ?
Utopia, certo, direte voi. Difficile, quasi impossibile dico io.
Però pensate bene alle conseguenze di un’azione cosi coordinata.
20.000 persone in meno significa per le aziende progetti falliti, penali da pagare, interessi con le banche, fornitori da saldare. Insomma, si mette una ditta con le spalle al muro, esattamente come ora vivono i precari dell’IT.
A quanto è venduto un programmatore presso il cliente lo sappiamo tutti molto bene. Cosi come sappiamo che solo una miseria, sotto il minimo per vivere, arriva nelle tasche del precario…
È tutto legale, certo, non lo discuto, ma se è la legge del mercato, forse questo mercato si può cambiare.
La mia presunzione è che qualcosa si possa fare, ma occorre crederci ed essere veramente in tanti a crederci. Il numero è forza contrattuale, finché si è separati si è nulla, come un singolo spaghetto, fragile e facile da spezzare, ma se prendiamo un pacco da un Kg allora le cose cambiano, eccome se cambiano.
La mia “pazza” idea ha anche un altro risvolto. Crescendo il costo della merce sul mercato, crescerà anche l’esigenza sulla qualità della stessa. Insomma, a quel punto io ditta dovendo pagare qualcuno lo scelgo davvero tra i più bravi, visto che i più economici saranno spariti.
La conoscenza si paga, ecco lo slogan che un consorzio IT dovrebbe avere.
Se è chiaro che il meccanico si fa pagare e bene per il proprio lavoro, tanto da evitare di svendersi al primo che sventola uno pseudo contratto, cosi il bravo informatico DEVE evitare di accettare compensi ridicoli. Se questo si facesse, ripeto, neanche in tutta Roma, basterebbe per le ditte dell’EUR, sono sicuro che sarebbe ripetuto a Milano, a Torino, a Genova e cosi via.
Se il lavoro a progetto è quanto di meglio offrono, allora fissate un compenso più che adeguato per la Vostra vita.
Esiste una sola vita, come esiste un solo progetto importante: Voi stessi.
I precedenti interventi di G.C. sono disponibili a questo indirizzo
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