L’ultima indagine condotta dal PEW Research Center ha mostrato come i social network non contribuiscano a creare nuovi forum di discussione liberi ed utili per individuare nuovi punti di vista, ma anzi facciano sentire i propri utenti costantemente sotto la lente del giudizio della maggioranza.
Lo studio ha coinvolto 1.801 adulti e ha osservato le discussioni legate alle rivelazioni di Edward Snowden sulle intercettazioni illegali da parte dello spionaggio a stelle e strisce. Su tale argomento un precedente sondaggio basato sull’anonimato avevano mostrato come il pubblico avesse voglia di parlare dal vivo di questo argomento, e come si distinguesse quasi perfettamente tra i sostenitori delle azioni di Snowden e quelli che le consideravano dannose per l’interesse pubblico.
Sui social media, invece, gli utenti sono molto meno propensi a parlare di questi argomenti (dal vivo ne parlano l’86 per cento delle persone, su Facebook solo il 43 e su Twitter solo il 41) ed in generale la tendenza è quella di condividere opinioni solo qualora si ritengano che possano essere diffusamente condivise. Gli studi sociologici pre-Internet chiamavano questa tendenza “spirale del silenzio”, intendendo definire con questo termine quella tendenza a non parlare in pubblico di politica se non si ha la convinzione che il proprio punto di vista venga condiviso dalla maggior parte dei presenti.
Inoltre, gli utenti dei social network si dimostrano in percentuale meno propensi a parlare di determinati argomenti dal vivo di coloro che non sono attivi online: il tipico utente di Facebook (individuato in una persona che si connette almeno due volte al giorno) è propenso la metà rispetto agli altri, mentre un tipico utente del tecnofringuello tende a parlare dal vivo di determinati argomenti solo nello 0,24 per cento dei casi.
Claudio Tamburrino