L’intelligenza artificiale è uno strumento che negli ambienti lavorativi viene usato sempre di più, ma anche criticato aspramente. Oramai è diventato importante discutere su cosa si può fare con le IA, cosa non condividere con ChatGPT, e quali sono i rischi che i cittadini corrono a causa di questi applicativi di ultima generazione. In questo periodo, però, è l’OCSE/OECD a cercare di inquadrare le prime conseguenze reali dell’intelligenza artificiale su lavoro e lavoratori, definendo lo scenario alla ricerca di risposte più o meno definitive.
Come le IA cambieranno il mercato del lavoro
Secondo lo studio “Social, Employment and Migration Working Papers”, come ripreso da Agenda Digitale, l’impatto dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro al momento non segnala criticità; anzi, si tratta di un impatto positivo. Le interviste somministrate a oltre 5.000 lavoratori e oltre 2.000 imprese rivela quanto segue: tra il 66% e il 72% dei datori di lavoro ha predisposto processi di automazione gestiti da applicazioni IA al fine di incrementare il ritmo di produttività e monitorare meglio le performance individuali. Ne consegue un miglioramento anche dello stato mentale e fisico per i dipendenti, che ora si concentrano su funzioni a maggiore valore aggiunto.
Il report OCSE sottolinea, dunque, come la rapida implementazione dell’IA può ridurre i costi di produzione e automatizzare alcune attività. Ciò ha i suoi pro e i suoi contro: se da un lato i lavoratori potrebbero giovare dell’aggiunta dell’IA nel flusso produttivo, dall’altro potrebbero notare la progressiva sostituzione dei lavori cognitivi a bassa qualifica ed esperienza, dove l’intelligenza artificiale generativa potrebbe fungere da sostituto.
Alcuni segnali preoccupanti sembrano arrivare dagli Stati Uniti, mentre in Europa l’AI Act potrebbe fissare dei paletti ben definiti e limiti da non oltrepassare.