Los Angeles (USA) – IBM è la prima multinazionale dell’alta tecnologia che prende le distanze dalle tecniche di identificazione genetica : “Sono informazioni che non hanno niente a che vedere con ciò che fai, ciò che riesci a fare, quale lavoro puoi fare o semplicemente quanto vali all’interno di un gruppo”, sostiene fermamente Harriet Pearson, dirigente ai vertici dell’azienda che impiega oltre 300mila persone in tutto il mondo.
Negli ultimi anni IBM, in linea con una tendenza generale del mondo IT, ha contribuito attivamente alla nascita di un mercato tecnologico nel settore dell’identificazione biometrica e vieppiù “genometrica”, come testimonia il programma di ricerca Genographic Project . Lo sviluppo di strumenti informatici per la gestione delle informazioni genetiche rimane comunque uno dei campi di ricerca più importanti per i laboratori IBM. “Ci siamo, ormai”, afferma Pearson, “e la sanità è pronta a muoversi verso questa direzione: raccogliere ed utilizzare dati genetici”.
Le speculazioni dell’industria IT sono volte al mercato delle assicurazioni e degli strumenti di assistenza sanitaria . Un profilo genetico di un individuo potrebbe massimizzare ed addirittura inibire certe forme previdenziali, nell’interesse dei datori di lavoro e delle stesse agenzie che stipulano polizze assicurative.
Importanti segnali che presagiscono questo sconcertante futuro, puntellato di enigmi ed interrogativi, provengono dalla lontana Australia, dove il governo ed alcuni enti privati hanno finanziato un progetto di ricerca biomedico basato sull’ archiviazione di frammenti di DNA .
Gli Stati Uniti, promotori della biometria a livello transnazionale, stanno considerando proprio in questi giorni una nuova legge per la tutela del patrimonio genetico personale : fino ad oggi il panorama globale non ha alcun quadro di riferimento giuridico ed istituzionale in grado di delineare eventuali limiti del matrimonio tra DNA ed identificazione individuale.
Il problema più grande, come sostengono molti esperti di diritto e bioetica statunitensi, è che le aziende “potrebbero abusare della genomica contro i propri dipendenti”. Arthur Caplan, direttore del Centro di studi Bioetici dell’ Università della Pennsylvania , è dell’opinione che le nuove tecnologie possono dare inizio all’era della rivoluzione genomica , ma “fin quando non esisteranno norme istituzionali e politiche precise, garanzie e sicurezze, è bene che i soggetti privati si impegnino per rassicurare la popolazione”.
Big Blue, facendo riferimento ad un approccio etico alla questione , delicatissima ed attualissima, ha promesso che non utilizzerà mai queste tecnologie per schedare, identificare e selezionare gli aspiranti impiegati. Il testimone per l’insolito ed importante giuramento pubblico è il prestigioso quotidiano New York Times : “Le informazioni personali e sensibili ottenibili dal corredo genetico”, continua Pearson, “sono troppo delicate perché si possono cambiare in alcun modo”. Come a dire, cioè, che la cautela nella loro gestione deve essere massima.
Tommaso Lombardi