Ginevra – Non si è ancora esaurita una lunga storia che coinvolge IBM e che è salita in superficie nel 2001 con la pubblicazione di un libro sull’argomento, la storia della vendita di strumentazioni ai nazisti. Per mettere la parola fine ad una vicenda che, a tanti anni di distanza, la vede accusata da esponenti del popolo rom, IBM ha chiesto un intervento della Corte Suprema svizzera.
Lo scorso giugno, una corte d’appello di Ginevra ha stabilito, contrariamente a quanto era stato deciso da un altro tribunale in primo grado, che IBM è processabile in Svizzera perché nel 1936 aprì una filiale a Ginevra, con il nome di “Quartieri generali europei IBM”.
I rom, riuniti in quella che definiscono “azione internazionale di riconoscimento e compensazione” , ritengono che IBM abbia venduto macchine punzonatrici ed altre strumentazioni che avrebbero reso più facile ai nazisti compiere le loro persecuzioni e omicidi di massa contro, tra gli altri, proprio il popolo rom.
Fin dall’inizio di questa storia, IBM ha sempre ribadito di non poter essere considerata responsabile di come le proprie macchine siano state utilizzate dai nazisti. In particolare le macchine secondo l’accusa avrebbero consentito alle autorità naziste di gestire al meglio i campi di concentramento. La corte d’appello di Ginevra ha da parte sua dichiarato di non poter escludere “la complicità di IBM attraverso assistenza materiale o intellettuale negli atti criminali dei nazisti”.
Sebbene sia ovvio che per l’IBM di oggi quegli eventi non rappresentano una minaccia in termini di reputazione, i rom ritengono che cospicui risarcimenti dovrebbero andare alle famiglie delle vittime del nazismo. Sono cinque per ora i rom che hanno chiesto danni per 20mila dollari ciascuno all’azienda.