Milano – Con i processi di produzione dei semiconduttori che arrivano ormai a 10 nanometri per la dimensione del singolo transitor, ci avviciniamo a grandi passi verso il limite fisico dell’attuale tecnologia: ormai sono pochi gli elettroni che passano in ogni giunzione di un processore, e di pari passo si muove anche il settore dello storage che si divide ancora tra i supporti magnetici tradizionali e quelli a stato solido. Più dati in meno spazio è ovviamente l’obiettivo più ovvio di tutti gli sforzi in questo campo : la ricerca pubblicata da IBM su Nature punta a usare un singolo atomo per archiviare un bit, così da arrivare all’efficenza massima teorica fino a questo punto ipotizzabile.
L’atomo è infatti la componente più piccola della materia che a oggi si ritiene un archivio affidabile: gli esperimenti con i fotoni sono promettenti ma implicano altre difficoltà, visto che gestire particelle che si muovono alla velocità della luce può rivelarsi complesso, dunque un atomo singolo è la particella più piccola utile per costruire un archivio. Un disco realizzato con registri su scala atomica significherebbe aumentare in modo drastico la densità di storage , con un salto ben oltre il singolo ordine di grandezza.
La ricerca di IBM parla di atomi di olmio disposti su un substrado di ossido di magnesio : il primo elemento è caratterizzato da alcune proprietà elettromagnetiche particolari, tra cui due stati magnetici stabili molto diversi l’uno dall’altro (differiscono per lo spin). Applicando una corrente al singolo atomo (150 millivolt per 10 microampere: una quantità piccolissima in termini assoluti, ma molto alta in assoluto per ciò che riguarda l’universo atomico) si può variare lo stato magnetico a piacere e in modo permanente e a volontà: come strumento di controllo i ricercatori hanno collocato anche un atomo di ferro accanto a quello di olmio, così da misurare l’effetto del campo magnetico di quest’ultimo sul primo.
I risultati sono incoraggianti : questo tipo di materiale potrebbe effettivamente consentire di tenere un bit di informazione per ogni atomo. C’è da risolvere il problema del refresh , ovvero di come garantire la permanenza dei dati all’interno della matrice atomica: tuttavia potrebbe non essere un problema particolarmente ostico da superare visto che lo spin degli atomi si mantiene per parecchie ore e dunque pure la gestione di questo aspetto circuitale potrebbe essere semplificata.
Ovviamente siamo agli stadi primordiali di questa tecnologia: ci sono da risolvere una serie di questioni relative agli schemi costruttivi, per esempio decidere se mettere in piedi una matrice di atomi di olmio o lavorare con degli altri materiali , così come c’è da valutare se sia utile passare alle dimensioni molecolari per aumentare ulteriormente l’efficienza e la semplicità costruttiva. Al momento si viaggia comunque, sebbene siamo solo in fase sperimentale, su almeno un terabit per pollice quadrato: un buon punto di partenza.
IBM sta costruendo questo nuovo tipo di storage sfruttando la propria esperienza nel settore (per effettuare la “carica” del singolo atomo si usa un microscopio che ha fruttato un Nobel per la fisica agli inventori, sempre finanziati da Big Blue), ma siamo ancora molto lontani come detto dallo sfruttamento commerciale: per funzionare l’attuale configurazione deve essere raffreddata fino a valori prossimi allo zero assoluto , condizioni difficilmente riproducibili nei datacenter e sulle scrivanie.
Luca Annunziata