IBM va bene, ma non così bene da soddisfare tutti: nonostante utili solidi ( +9 per cento ), ricavi per azione superiori alle attese e previsioni più che buone per la seconda metà del 2010, il titolo di Big Blue ha subito una lieve flessione alla ripresa delle contrattazioni . Colpa non del management, che fino a questo punto è stato quasi impeccabile nella gestione, ma di aspettative più che rosee che sono rimaste vagamente deluse da un volume d’affari che in tre mesi ha comunque sfiorato i 24 miliardi di dollari. Più del 2009, ma sotto di qualche centinaio di milioni rispetto a quanto gli analisti di Wall Street si auguravano.
Nel gioco dei numeri ha pesato , come per le altre multinazionali, il calo sensibile mostrato dall’Euro in questi mesi sul mercato monetario (l’EMEA è l’unica area geografica in calo, -6 per cento ): contratti firmati mesi, o anni, or sono con una moneta del Vecchio Continente alle stelle, finiscono inevitabilmente svalutati da un cambio di direzione nella bilancia economica. Il CFO di IBM, Mark Loughridge, ha addirittura indicato in 500 milioni di dollari il possibile impatto sui conti della sua azienda di questa congiuntura, giustificando in parte le attese deluse: ma gli investitori non hanno neppure gradito il volume dei nuovi contratti firmati da IBM , pari ad appena 12,3 miliardi di dollari contro una previsione di circa 14.
Insomma, nonostante i numeri siano più che positivi e i conti reggano (promettendo un futuro sereno a un’azienda in continua espansione, sia per volume che per interessi), nonostante per la fine dell’anno le stime dei ricavi per azione siano state alzate da 11,2 a 11,25 dollari, nonostante il business di WebSphere abbia ad esempio fatto segnare un solido +17 per cento (e la divisione Servizi è una delle più strategiche per Big Blue), difronte a una trimestrale di Intel che fa +34 per cento qualcuno si era forse venduto la pelle dell’orso prima di averlo catturato. E dire che, al contrario proprio di Intel, IBM vanta una maggiore indipendenza dai cicli di vita dell’hardware e ai ricambi generazionali delle apparecchiature , grazie a una lungimirante conduzione che da tempo ha spostato l’asse dei suoi affari su più stabili business basati sul software e sui servizi di consulenza.
Di certo, come hanno precisato il CEO Palmisano e lo stesso Loughridge, non ci sono da temere contrazioni degli utili, crolli degli ordini o problemi per IBM: entro il 2015 le stime vogliono il fatturato in crescita di altri 20 miliardi di dollari l’anno, con ricavi per azione fissati alla stellare cifra di 20 biglietti verdi. IBM sta inoltre investendo in campi fino a pochi anni fa ad appannaggio di altri tipi di aziende, come l’elettricità e in generale le infrastrutture , che con il progresso dell’elettronica digitale sempre più spesso finiscono sotto il controllo di sistemi di elaborazione di cui l’azienda di Armonk è uno dei principali produttrice, installatrice e sviluppatrice mondiali. Il tutto senza dimenticare il business tradizionale: nuovi mainframe System Z sono attesi entro la fine della settimana.
In definitiva, tutta l’attività di Big Blue pare basata su terreno solido e compatto. Solo una è l’incognita: nella scalata alla successione di Samuel J. Palmisano, attuale CEO che nel 2011 compirà quei 60 anni che di solito è l’età indicata per lasciare le cariche operative come quella dell’amministratore delegato negli USA (e in particolare in IBM), all’orizzonte non si vede alcun delfino designato pronto all’avvicendamento . L’annunciata riorganizzazione ai piani alti avvenuta in queste ore ha concesso maggiori poteri ai luogotenenti di Palmisano, ma molti di loro contano appena un paio di primavere in meno del loro CEO. E mentre il WSJ si dice certo che occorra guardare tra gli attuali vicepresidenti per individuare il prossimo AD di IBM, il NYTimes è meno sicuro della previsione: a sfangarla potrebbe anche essere un outsider.
Luca Annunziata