La proposta di introdurre i nomi generici .WINE e .VIN come domini di primo livello (gTLD) ha sollevato un putiferio: d’altronde la questione è delicata e solleva diverse preoccupazioni andando a toccare gli interessi di governi, organizzazioni commerciali e di categoria, aziende ed agricoltori.
A settembre 2013 il discorso si è aperto in seno all’ Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN) su iniziativa del Governmental Advisory Committee (GAC): il comitato – che all’interno dell’associazione che gestisce l’associazione tra indirizzi IP e nomi a dominio, ha il compito di ricevere e valutare le richieste dei Governi – non era riuscito a raggiungere un consenso interno sulla possibilità o meno di aprire ai in questione, così aveva deciso di rinviare la questione.
A questo punto si è aperto il dibattito sulla loro possibile approvazione attraverso la ordinaria procedura prevista dalle linee guida redatte dall’ICANN. Attraverso questa procedura vengono scelti i nuovi gTLD, aggiunti all’accordo di cui è l’arbitro ICANN ed affidati ad un beneficiario che diventa l’operatore responsabile per il nuovo nome generico a dominio, con il potere di decidere a chi, e sotto quali condizioni, permettere l’utilizzo del suffisso in questione .
In questo caso il richiedente e dunque quello che sarebbe dovuto diventare il nuovo operatore dei gTLD legati al mondo del vino è l’ azienda Donuts, che già gestisce altri nomi generici a dominio.
Così, nel corso della cinquantesima riunione annuale dell’ICANN, che si sta tenendo questa settimana a Londra, si è nuovamente acceso il dibattito sull’allocazione dei domini .wine e .vin . Al centro della delicata questione, in particolare, la tutela o al contrario il rischio di abuso di nomi corrispondenti ad indicazioni geografiche di vini .
I termini Wine e Vin , infatti, corrispondono al nome generico inglese e francese “vino”, nonché ad un prodotto che prevede una specifica modalità di produzione. In questo senso, in particolare, i problemi sembrano più grandi di una semplice questione di favoritismi per un’impresa rispetto ad un’altra: ad essere chiamata in causa è la disciplina delle indicazioni geografiche (IG).
Si tratta di una forma di proprietà intellettuale peculiare, sia per i requisiti che per il riconoscimento internazionale: da un lato – a differenza di diritto d’autore, marchi, brevetti e design – non basa la protezione sulla novità, ma al contrario sulle caratteristiche tradizionali del prodotto in oggetto. Quello che rende speciale le IG non è dunque la novità, ma la storia a cui i consumatori le associano riconoscendo al prodotto un valore intrinseco e distintivo.
L’altro aspetto da rilevare è la sperequazione delle IG: tutti i paesi hanno dei propri prodotti tipici, ma questa di forma di proprietà intellettuale è particolarmente rilevante in Europa (dove c’è un’ulteriore distinzione tra Indicazioni geografiche protette e disciplinare DOP, “di origine protetta”) ed è in gran parte ad appannaggio di Italia, Francia e Spagna.
Per questo nel dibattito internazionale spesso paesi come gli Stati Uniti tendono a sminuire le IG o a confonderle con i marchi, intesi come nomi o segno distintivi di una determinata qualità di un prodotto: nascono da questi difficili rapporti internazionali e di diritto questioni controverse come la mancata protezione da parte delle autorità a stelle e strisce del nome “Mozzarella”, impiegato negli Stati Uniti per indicare genericamente un formaggio a pasta semi-morbida, o il difficile inquadramento del nome “Parmesan” sul mercato internazionale.
Così, a proposito delle nuove proposte di domini di primo loivello, può succedere che una parte che ottenga l’utilizzo di un indirizzo con suffisso .WINE o .VIN non necessariamente abbia anche il diritto di utilizzare la relativa indicazione geografica o possa vendere prodotti da essa contrassegnati.
D’altronde, anche se l’Art. 22(1) dell’Accordo TRIPS – un accordo Internazionale facente parte del pacchetto dei Trattati che rientrano sotto il cappello dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – stabilisce che le IG sono “quelle indicazioni che identificano un bene come originario di un territorio di uno Stato Membro, o di una regione o località in tale territorio” a cui una data qualità, reputazione o altra caratteristica del prodotto è direttamente collegata, manca una riconosciuta lista di indicazioni geografiche riconosciute da tutti i paesi e piccole aziende locali che lavorano con prodotti teoricamente protetti da IG hanno difficoltà a farsi valere a livello internazionale.
Per questo la diatriba sui nuovi domini .WINE e .VIN ha coinvolto inizialmente i rappresentanti dei viticoltori europei che hanno – con un confronto continuo conclusosi lo scorso 3 giugno – cercato inutilmente di stringere un fronte comune da far valere nel dibattito internazionale.
Negli incontri di Londra di questi giorni, poi, in prima fila contro i nuovi gTLD si è messa la Francia, che attraverso il suo ministro per gli affari digitali Axelle Lemaire ha fatto sapere di essere spaventata dalla possibilità di veder minacciata la diversità culturale del patrimonio enologico del paese .
Secondo il ministro Lemaire, inoltre, il problema è che le procedure dell’ICANN sono “del tutto opache” e che si rischia di intervenire su questioni attualmente al centro del dialogo transatlantico nonché della trattazione sulla riforma globale della proprietà intellettuale (il segreto e criticato ex ACTA ), con l’irruenza del dibattito digitale.
Anche l’Italia, pur non intervenendo a livello ministeriale ma attraverso il sottosegretario delle Comunicazioni Giacomelli, si è unita alla protesta francese, così come la Commissione Europea, il Regno Unito, la Spagna, l’associazione dei viticoltori californiana, il Consorzio del Chianti Classico e quello dello Champagne.
Anche il Commissario europeo Neelie Kroes si è espressa nella questione, affermando di essere “profondamente preoccupata del potenziale abuso delle indicazioni geografiche riconosciute a livello internazionali”.
Claudio Tamburrino