Apple ha abbandonato l’idea di consentire ai suoi utenti l’applicazione della crittografia end-to-end sui backup destinati alla piattaforma iCloud dopo che l’FBI ha manifestato disappunto per una prospettiva di questo tipo. Così facendo la mela morsicata avrebbe contribuito a innalzare il livello di protezione della privacy di chi in possesso ad esempio di un iPhone, rendendo però al tempo stesso più difficoltoso per gli agenti accedere ai dati in caso di necessità nel corso di un’indagine.
FBI e i backup di iCloud senza crittografia
A riportarlo la redazione di Reuters, citando sei fonti rimaste anonime, ma ritenute a conoscenza dei fatti. Il progetto, noto internamente come Plesio e KeyDrop, è stato prima messo in campo e poi accantonato circa un paio di anni fa. Non è ad ogni modo da escludere l’ipotesi che a causare lo stop dell’iniziativa siano state ragioni differenti rispetto alle lamentele giunte dall’agenzia governativa.
Implementando un sistema di questo genere nemmeno Apple avrebbe potuto accedere alle informazioni presenti sui server di iCloud, trovandosi di conseguenza impossibilitata a fornirle agli inquirenti nel contesto di un’investigazione. Facendo riferimento al Rapporto sulla Trasparenza del gruppo di Cupertino, nella prima metà del 2019 le autorità statunitensi hanno chiesto di poter consultare i dati appartenenti a 4.796 dispositivi (394 in Italia) relativi a 3.619 account (44). L’azienda ha risposto fornendo almeno una parte di quanto richiesto in 4.027 casi (241).
Della questione abbiamo scritto la scorsa settimana quando la società si è rifiutata di sbloccare gli iPhone appartenuti all’attentatore di Pensacola, attirando le ire di Donald Trump. Le due parti erano arrivate ai ferri corti già nel 2016 quando l’FBI aveva chiesto di poter consultare le informazioni contenute nel dispositivo dell’uomo che insieme alla moglie ha ucciso 12 persone e ne ha ferite altre 24 a San Bernardino, in California.