Roma – Introdurre le nuove tecnologie nei paesi meno sviluppati per favorire l’autosufficienza – alimentare e commerciale – sconfiggere malattie mortali, sviluppare mestieri. Questo il senso del lavoro di OCCAM , l’Osservatorio culturale nato a Milano nel 1997 per volere del direttore generale dell’Unesco e che da oltre cinque anni si impegna nel programma “Infopoverty”. Un progetto che lavora su nuove metodologie per abbattere le differenze economiche .
La logica è quella di debellare ricorrendo all’ICT il male peggiore, la povertà, cercando di fornire strumenti per rafforzare le attività e la cultura locali di popolazioni che ancora muoiono di fame. I paesi africani oggetto del lavoro di Infopoverty sono ricchi di risorse ma è proprio la povertà ad impedire uno sfruttamento equilibrato e vantaggioso.
“Introducendo correttamente il fattore ICT nelle strategie di lotta alla povertà, che investono oltre 4,5 miliardi di popolazione, accanto alla promozione di valori etici e filantropici propri dell’ONU – si legge in uno dei documenti che illustra la loro filosofia di intervento – si induce una forte innovazione tecnologica, dovendo far fronte a problematiche inedite per il mondo occidentale (quali ad esempio la mancanza di elettricità e di cablature telefoniche), si stimola la creazione di nuovi prodotti e servizi in grado di servire gli immensi nuovi mercati dei paesi in via di sviluppo e nel contempo di superare l’attuale crisi del settore, dovuta alla saturazione ICT”.
Questa visione si sta imponendo, ormai, su quasi tutti i principali operatori umanitari. Allora, nuove metodologie di aiuto allo sviluppo grazie alla semplificazione dell’hardware e del software: così si aprono nuovi orizzonti sfruttando il Web e le connessioni satellitari.
L’introduzione della larga banda wireless sta aprendo prospettive di servizi fondamentalmente legati alle necessità quotidiane, quali telemedicina, formazione, e-governance, e-commerce, in grado di sviluppare nuovi mestieri e di ottimizzare quelli tradizionali, potenziando fortemente gli assetti comunitari delle comunità più disagiate, il cui stato di povertà è solo l’ultimo stadio di un processo di degradazione le cui origini, spesso, sono nei nostri modelli di sviluppo ormai obsoleti.
OCCAM ha svolto un ruolo importante anche nei paesi colpiti lo scorso anno dallo tsunami. La sua azione, in una prima fase, ha fornito supporto logistico e tecnico alle organizzazioni di primo soccorso in loco, mettendo a disposizione tecnici e competenze dell’Infopoverty network, per introdurre sul posto speciali apparecchiature comunitarie ICT per le infrastrutture di telecomunicazione e servizi a banda larga capaci di favorire la ricostruzione dei villaggi coinvolti e promuovere sviluppo sostenibile una volta concluse le immediate attività di primo soccorso.
Delle attività passate e future, del modello innovativo che OCCAM sta esportando parla a Punto Informatico il presidente: l’architetto Pierpaolo Saporito.
Punto Informatico: Quando inizia la storia di OCCAM?
Pierpaolo Saporito: Precisamente nel 1997 anche se i nostri primi progetti risalgono al 2000 quando siamo intervenuti in Honduras subito dopo le distruzioni dell’uragano Mitchell. In quell’occasione, con le altre organizzazioni delle Nazioni Unite e l’Unesco, abbiamo provveduto alla autosufficienza energetica con pannelli solari e alla comunicazione satellitare.
PI: Il satellite ritornerà ancora nella nostra chiacchierata. Ci spiega cosa fate?
PS: Cerchiamo di sconfiggere la povertà e di colmare il gap dei paesi sottosviluppati introducendo le nuove tecnologie tra moltissime difficoltà strutturali, rendendo queste popolazioni autosufficienti in condizioni ? per noi – non ottimali (si pensi alla mancanza di energia elettrica). Utilizziamo questa strumentazione per meglio sfruttare le ricchezze esistenti.
Il programma di cui facciamo parte si chiama Infopoverty , patrocinato dal Parlamento europeo e delle Nazioni Unite, per citarne solo alcuni. Il programma è nato nell’ambito dell’Onu ed è coordinato da OCCAM. Coinvolge più di 100 istituzioni internazionali che fanno parte, a diverso titolo, della conferenza mondiale di Infopoverty.
PI: Come agite una volta individuato un posto dove operare?
PS: In svariati modi, a seconda delle esigenze e delle peculiarità locali. Di solito puntiamo molto sull’agricoltura ed applichiamo le nostre tecnologie a questo settore… Si pensi già solo alla mole di conoscenza che si riesce a sviluppare con una semplice connessione al web.
In seguito, cerchiamo di sviluppare altri settori dell’economia fino ad attivare intere filiere e così fare in modo che un singolo villaggio raggiunga l’autosostentamento. Una volta raggiunto lo scopo, replichiamo il modello altrove fino a creare una catena di villaggi autosufficienti e così via.
PI: La condizione necessaria e prima è la trasmissione via satellite. Non è così?
PS: Sì, all’inizio creiamo i mezzi per la produzione di energia elettrica (per lo più pannelli solari), poi un hub e sviluppiamo una rete per la trasmissione satellitare in modo da ricevere il segnale e poterlo distribuire. In seguito, sviluppiamo il sistema wi-fi per il territorio di interesse, installiamo antenne e ricevitori all’interno del territorio di intervento. Una volta che le infrastrutture di base sono a posto, si passa alla fase di training dove un primo gruppo di persone – che saranno principalmente i futuri “tecnici” – dovranno badare al mantenimento delle apparecchiature. E’ una fase importante perché si fa in modo di istruire i locali a tenere in funzione le apparecchiature.
PI: E poi?
PS: Si passa allo sfruttamento delle risorse con l’ausilio delle tecnologie. Si pensi ai consulti che possono derivare nel campo dell’agricoltura o dell’allevamento. Attraverso la connessione satellitare ci si collega a speciali portali dedicati che possono essere utilizzati per avere risposte, analisi, per esempio, di determinate malattie o parassiti delle piante che spesso affamano interi territori e indicazioni sui rimedi per sconfiggerli. Il supporto all’economia e al commercio così diventa diretto. Ma noi ci spingiamo anche oltre…
PI: Per esempio?
PS: Utilizziamo spesso apparecchiature sul posto per analisi a distanza. In agricoltura ed in medicina utilizziamo il microscopio elettronico che trasmette, attraverso la connessione satellitare, quello che si vede in un nostro centro per l’elaborazione. Qui studiosi europei o americani analizzano e forniscono responsi ai richiedenti attraverso la nostra rete.
PI: Con quali vantaggi?
PS: Di tempo: perché tutto avviene in automatico e quasi in tempo reale. E vantaggi economici perché non c’è bisogno di trasportare costose e pesanti apparecchiature in loco ma tutto è dislocato grazie alla rete.
PI: Allora tutto questo può essere applicato anche alla medicina?
PS: Questa è quella che chiamiamo telemedicina da inserire nelle strutture mediche locali (se esistenti) o in altre sedi individuate per ospitare il primo nucleo di strutture sanitarie.
I servizi sono consegnati attraverso un portale specifico ed includono: diagnosi, prognosi, prescrizioni, servizi speciali per le persone disabili e eventualmente interventi a distanza di chirurgia leggera grazie alla partecipazione di un network di ospedali locali e internazionali, centri di ricerca e centri di eccellenza. Per esempio a Verona è in sperimentazione una apparecchiatura per i raggi X a distanza. Quando c’è un incidente per strada, la visita è nel luogo dell’incidente ma la diagnosi viene fatta altrove analizzando i dati trasmessi dalle apparecchiature. Anche qui enormi vantaggi senza trasferire uomini e logistica sul posto.
PI:…e così riuscite ad intervenire anche nelle scuole…
PS: Sviluppiamo unità di e-learning da collegare strettamente alle strutture scolastiche esistenti, dotate di aule didattiche e laboratori multimediali. Un network di Università si prenderà cura di questa parte del progetto, sostenuto da università locali e dall’Università dell’Oklahoma, che ha una solida esperienza in questo campo e che ha già sviluppato una serie di modelli adeguati alle necessità di questo tipo di comunità.
PI: E date anche una mano alle amministrazioni locali?
PS: Sì, con i nostri progetti di e-government, collegati alle autorità governative locali, con un centro di accesso comunitario, dove la popolazione può cominciare ad imparare ad usare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Internet, e-mail, elaboratori di testo) sotto la supervisione di addetti locali alla formazione professionale, e dove si potrà avere accesso ai servizi di base come la distribuzione di ID, permessi, licenze, documenti ufficiali, visti, passaporti ecc. Il centro di accesso provvederà anche all’allarme istantaneo in caso di nuovi disastri e pericoli.
PI: Tutto questo riuscite a farlo senza chiedere donazioni
PS: Diciamo che noi non chiediamo versamenti su conti correnti… forse chiediamo qualcosa di più: la professionalità, il tempo, dotazioni tecnologiche, sperimentazione di scienziati e professionisti che offrano il loro tempo e la loro professionalità per permettere che i nostri progetti si possano realizzare.
Il lavoro prosegue: la prossima sfida si svolgerà nel villaggio tunisino di Borj Touil .
a cura di Alessandro Biancardi
Link utili
OCCAM, attività 2005
Infopoverty, metodologie di intervento