Una delle sensazioni trapelate dall’Internet Festival 2019 è quella per cui si sia entrati definitivamente, con entrambi i piedi, in una nuova fase dell’innovazione, o quanto meno nel modo di rappresentarla e di raccontarla al suo proprio interno. Un’era partita ormai molto tempo fa, quando divenne chiaro a qualcuno il fatto che l’innovazione avrebbe presto riscritto le regole economiche e sociali con cui eravamo abituati a vivere, interpretare e capire il mondo. Oggi qualcosa è cambiato.
L’istituzionalizzazione dell’innovazione
Grazie alla grande quantità di spunti che ogni anno l’Internet Festival offre, e grazie all’importante qualità dei panel offerti, traspare con evidenza – tra un trasferimento e l’altro lungo le rive dell’Arno – la differenza di approccio rispetto anche solo a pochi anni fa. La visione sembra essersi accorciata, così come l’effetto “wow” che tante (troppe!) tecnologie suscitano. Abbiamo visto sprofondare una dopo l’altra le chimere della tv 3D, dei visori per la realtà virtuale e degli smartphone pieghevoli, fino quasi a stancarci di cercare incessantemente il “poi”.
Ma è bastato rallentare appena appena per guardarci indietro e vedere che, sebbene si siano riscritti gran parte degli equilibri precostituiti, in realtà si è nel frattempo accumulata un’enorme tensione destinata a cercare sfogo in qualche modo. Questa tensione sta tutta nel gap tra Big Tech e istituzioni, dove le prime hanno rappresentato la lepre in questa lunga corsa e le istituzioni (con tutta l’inerzia dei loro secolari apparati) hanno faticato a tenere il passo. Ma quando la lepre rallenta, ecco che l’ombra lunga delle istituzioni si fa spazio.
Lungimirante è stata quindi la scelta dell’IF2019 di focalizzare l’attenzione sulle “regole del gioco“, perché è proprio questo il centro del discorso: le regole. Ma se anche il tema fosse stato differente, il tema si sarebbe imposto comunque poiché il dibattito per molti versi si è arenato in un corto circuito che va sciolto anzitutto a livello di principio, per poi capire come riprendere il bandolo della matassa: se non sappiamo gestire la privacy, se non sappiamo come e se cedere sovranità a Facebook, se non sappiamo più come perimetrare il diritto di espressione, se immaginiamo filtri senza pensare a quali usi potrebbero farne gli autoritarismi, allora siamo o non siamo andati tutti insieme in fuorigioco in questa grande azione corale?
Un recente articolo del Columbia Journalism Review si è posto una domanda simile: il giornalismo tech sta cambiando o meno il proprio rapporto con l’innovazione? Quella che era la narrazione romantica delle prime fasi ha lasciato spazio alla narrazione critica di questi anni, riportando il giornalismo nel ruolo di “watchdog“. Lo storytelling della Silicon Valley si è così annichilito nel tempo, perdendo di sostanza e di fascino, ma in questa mutazione anche al giornalismo è chiesto ora un passo avanti: meno critica e più approccio costruttivo, alla ricerca di una soluzione per evitare di ricadere quotidianamente nella semplicistica ricerca dei problemi.
L’istituzionalizzazione dell’innovazione, ossia questa fase di maturazione di quanto costruito in questi anni a velocità incredibili, pass attraverso un cambio di paradigma da parte di tutti i soggetti interessati: delle aziende in primis, di garanti e legislatori poi, ma anche di utenti, analisti, giornalisti, piccoli imprenditori e chiunque voglia e possa contribuire a questa nuova costruzione collettiva. Dopo anni di bulimia informativa, ora è venuto il momento di consolidare l’innovazione per metabolizzarla e farne oggetto d’uso quotidiano senza dover temere per gli equilibri politici, la stabilità economica e la tenuta sociale.
Ci riusciremo? Il gioco delle regole sta nello stabilire le regole del gioco. E siamo tutti attorno allo stesso tavolo.