Profonde trasformazioni stanno agendo sul mercato della musica, che sempre di più si configura come un servizio da consumare con la mediazione della Rete: anche il report globale stilato da IFPI illustra le dinamiche che stanno conducendo l’industria verso modelli di business sempre più improntati al digitale, sempre più fiduciosi nei confronti dei servizi di streaming.
Il Digital Music Report rilasciato dalla International Federation of the Phonographic Industry (IFPI) compone i frammenti di un panorama già parzialmente tracciato da RIAA per il rappresentativo mercato statunitense e dall’industria di settore su scala locale : su un fatturato globale di 14,97 miliardi di dollari, in calo dello 0,4 per cento rispetto allo scorso anno , il comparto digitale e quello della musica fisica hanno raggiunto il pareggio, maturato con l’ evolvere del contesto degli ultimi anni. I ricavi afferenti al settore digitale valgono 6,9 miliardi di dollari, in crescita del 6,9 per cento, mentre la musica venduta su supporto fisico cala ad un ritmo più sostenuto (-8,1 per cento): i due comparti valgono entrambi il 46 per cento del mercato , con il rimanente 8 per cento da attribuire alle performance e ai diritti di sincronizzazione.
La forza intervenuta ad erodere con più irruenza il fatturato relativo alla musica fisica come noto è lo streaming : IFPI sottolinea che in tutto il mondo 41 milioni di persone nel 2014 hanno pagato per consumare musica che fluisce con la mediazione della Rete, garantendo un fatturato in crescita del 39 per cento rispetto al 2013 e pari a 1,57 miliardi di dollari , il 23 per cento del comparto digitale. La musica fruita in streaming con il supporto dell’ advertising , un modello che certa parte dell’industria non riesce ad apprezzare , rappresenta il 9 per cento del fatturato del mercato digitale, in crescita del 38,6 per cento rispetto allo scorso anno.
Al contempo sono i download a perdere terreno: a livello globale la musica acquistata in Rete per il download vale ancora il 52 per cento del fatturato afferente al digitale, ma su alcuni mercati (Croazia, Danimarca, Finlandia, Hong
Kong, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Corea del Sud e Taiwan) il valore delle sottoscrizioni ha già superato quello dei download. Dati raccolti da IPSOS su 13 mercati del mondo, inoltre, mostrano che l’urgenza con cui anche colossi come Google e Apple stanno agendo per guadagnarsi una posizione nell’ambito dello streaming musicale appare pienamente giustificata.
Negli ultimi sei mesi il 57 per cento dei netizen ha fatto accesso a siti ancora sostanzialmente generalisti come YouTube per fruire di musica in streaming, il 38 per cento ha approfittato di servizi dedicati come Spotify, mentre solo il 26 per cento si è rivolto ai servizi che offrono download. L’ Italia non fa eccezione: a fronte di un 46 per cento dei netizen che ha saggiato servizi di streaming a pagamento, solo il 25 per cento ha dichiarato di aver scaricato musica.
L’offerta legale sembra dunque finalmente iniziare ad incontrare il favore degli utenti, in un compromesso che nonostante alcune rumorose eccezioni pare iniziare a ricompensare anche gli artisti , soprattutto su certi mercati come quello svedese e soprattutto in virtù dei servizi di streaming su abbonamento. La pirateria , però, resta una nota stonata: nel report si stima che il 20 per cento dei netizen che accedono alla Rete su connessione fissa si rivolga a servizi che offrono musica senza l’autorizzazione dei detentori dei diritti. IFPI raccomanda l’adozione di soluzioni abbracciate anche dall’Italia come l’inibizione degli accessi con la collaborazione dei fornitori di connettività su ordine di autorità giudiziaria e amministrativa , i filtri applicati ai risultati di ricerca con la collaborazione dei search engine e l’ interruzione dei rapporti con i siti pirata da parte dell’industria dell’advertising e degli operatori dei pagamenti.
Gaia Bottà