Milano – Non ci sono partiti né coalizioni che fanno da sponsor, c’è solo un insieme dinamico di intelligenze che dentro e fuori della rete ragionano sull’Italia alle prese con la rivoluzione dell’informazione e che trasformano tutto questo in un percorso creativo che troverà il suo primo culmine in un incontro a Milano il prossimo 22 giugno. Condividi la Conoscenza , a cui hanno già aderito tra i tanti anche personalità del calibro di Stefano Rodotà, Arturo Di Corinto, Alfonso Fuggetta, Stefano Quintarelli, Giuseppe Corasaniti, Paolo Nuti e Andrea Monti, è un laboratorio collaborativo e distribuito che tende a scardinare il muro di gomma di una politica italiana che non riesce a star dietro all’era digitale. Al centro c’è la Società della Conoscenza e la necessità di integrare l’agenda politica con istanze di cambiamento, che sono in via di discussione proprio in questi giorni, anche attraverso il sito ufficiale della manifestazione e il suo forum .
Di un evento di questo tipo occorre capire la forma, i tratti e i contenuti e per questo Punto Informatico ne ha parlato con Fiorello Cortiana , motore dell’iniziativa e, come ben sanno i lettori di questo quotidiano, da sempre attento e critico osservatore del claudicante incedere dell’Italia nella cosiddetta Società dell’Informazione.
Punto Informatico: Tra le premesse dell’incontro-sito-rete di comunicazione, un evento raro, di proposta politica ma anche un percorso dai contorni innovativi, c’è l’assunto secondo cui all’Italia manca una cultura politica sufficiente o, meglio, adeguata all’era digitale. Si parte da qui, ma come ci si arriva, in che modo l’Italia o la sua cultura politica è per così dire indietro o inadeguata ? Da cosa lo si percepisce?
Fiorello Cortiana: In Italia nel settore ICT ci sono 85.000 imprese ed un milione di occupati, abbiamo 800.000 insegnanti, una dimensione accademica e della ricerca che sta tra ipertrofia e l’inadeguatezza, una presenza tanto indefinita quanto pervasiva di produttori di contenuti, di informazione, di comunicazione. Questo all’interno di un quadro europeo che vede una economia basata per il 70% sui servizi, gli USA sono al 75%.
Tutto il quadro normativo, tutti i profili professionali e gli aspetti previdenziali e di welfare ad essi collegati, le rappresentanze, le procedure, i luoghi di negoziazione e gli statuti, si riferiscono ad una società industriale/manifatturiera che è radicalmente cambiata. Le nuove modalità di produzione di valore vedono nella dimensione cognitiva interconnessa in rete la necessità di un riconoscimento come comun denominatore sociale, all’inizio di questo millennio, non riducibile ad una questione settoriale e meramente tecnologica.
PI: Un centro di gravità è l’agenda di Lisbona: perché è così rilevante e in che modo l’Italia rischia di perdere l’appuntamento con il 2010, che dovrebbe nei progetti dell’Unione diventare l’anno della svolta , in cui i paesi europei hanno ormai puntato dritti verso la Società della conoscenza ?
FC: È significativo che l’Europa abbia individuato la nuova frontiera della “Società della Conoscenza” e i propositi/impegni conseguenti nel 2000, un passaggio di secolo significativo. Energia, acqua, digitale e le reti attraverso cui si producono e si distribuiscono costituiscono già da oggi l’oggetto del confronto negli incontri del G8. Proprio la nozione di rete, di relazione/connessione multilaterale ed inclusiva, si propone come la matrice culturale per la piccola terra globalizzata ed i suoi grandi problemi.
L’Italia, terra dell’umanesimo, che dagli apporti di diverse civiltà ha tratto una varietà straordinaria di capacità culturali e colturali, dovrebbe trovare nella società e nell’economia della conoscenza la sua piena realizzazione. Il rischio di finire in franchising sulla creatività si presenta come un paradosso possibile. Le miopie del sistema di imprese ed associazioni dell’articolato mondo della produzione cognitiva, le loro rendite di posizione e le loro relazioni consolidate con le istituzioni normative, cercano con disperata arroganza di non fare i conti con il cambiamento strutturale della realtà digitale interconnessa. Né iTunes a suo tempo, né l’accordo Apple-EMI sull’interoperabilità di questi giorni, li inducono a prendere in considerazione nuovi “business model” e nuove politiche pubbliche adeguate.
PI: Quest’ultimo punto credo sia una realtà condivisa e visibile a molti operatori del settore, sono cose che un po’ tutti abbiamo, ahimé, imparato a riconoscere e che tutti subiamo. Se ne può uscire?
FC: Alla Camera il Relatore di maggioranza chiede ad un parlamentare, di maggioranza anch’esso, il ritiro di un emendamento che legittima il P2P non commerciale, la rappresentante del Governo ne chiede la sospensione, mentre non solo il Presidente della Commissione Cultura Folena ma anche i leghisti Fava e Maroni lo sostengono.
Questo episodio da un lato evidenzia la confusione e l’incoerenza della Maggioranza e del Governo con il suo programma e con le dichiarazioni di altri ministeri, ma dall’altro lato con il sostegno aperto della Lega Nord si mette in luce la possibilità di un processo legislativo aperto e senza preclusioni di schieramento.
Al Parlamento Europeo il Relatore della direttiva contro la contraffazione IPRED2, ON. Zingaretti, ha accolto gli emendamenti che introducono il FAIR USE e la distinzione tra uso commerciale o meno del materiale di proprietà intellettuale.
PI: Un buon segno…
FC: In Italia, commentando quanto accaduto alla Camera, il presidente di FIMI, Enzo Mazza ha dichiarato: “Mentre da un lato il Presidente del Consiglio Prodi e vari ministri assicurano impegno nella lotta alla pirateria, alla Camera ieri, il Presidente della Commissione Cultura Folena, ha appoggiato emendamenti per far saltare la tutela penale dei diritti d’autore sul software, sulla musica e sull’editoria. Siamo di fronte ad una situazione assurda che metterà l’Italia in gravi difficoltà in sede di trattati internazionali quali WIPO e WTO. Il Governo deve dirci se sta con i pirati o contro: questo è quello che vogliono sapere le imprese che investono in creatività nel nostro Paese”. Non si capisce perché il FAIR USE, presente tra l’altro negli USA, e l’uso non commerciale equivalgano alla contraffazione propria della malavita organizzata? Il Paese rischia una vera entropia cognitiva.
PI: L’appuntamento del 22 ha un titolo chiarissimo, Condividi la conoscenza , ed è una sorta di chiamata alle armi per chi è portatore di idee su tutto lo spettro della società dell’informazione, dell’era digitale. In che modo questo percorso potrà impattare sulle politiche del nostro paese? Riscontrate un interesse istituzionale per questa riflessione collettiva e condivisa?
FC: Questo “Quinto Stato”, questa società della conoscenza, deve riconoscersi ed affermarsi come blocco sociale dell’innovazione qualitativa. Per farlo dovrà sviluppare nuovi paradigmi, quello della condivisione e dell’accessibilità innanzitutto (che sono due dei punti del Forum ONU sulla Governance di Internet) ma anche una nuova modalità di riconoscere ed affermare dignità del lavoro che non è già più ascrivibile al modello imprenditore/dipendente, tempo indeterminato/precariato. Le partite IVA dei produttori di conoscenza nella/attraverso la rete digitale non possono essere considerate come lavoro nero camuffato, non rappresentate in Confindustria perché non imprese e non rappresentate sindacalmente perché non dipendenti, non precari da stabilizzare e non pensionati.
Ecco, se, attraverso un processo partecipato dai diversi portatori di interessi della società della conoscenza in rete (interessi economici e non), si iniziano a definire proposte concrete che si propongono esplicitamente in relazione con i luoghi della politica pubblica e con i suoi attori, sarà possibile che l’agenda politica ufficiale inizi ad occuparsi della questione in modo non episodico. Oggi assistiamo a qualcosa di non dissimile da ciò che è stato fatto nella scorsa legislatura dal precedente Governo: ci sono anche significativi interventi, ma episodici ed isolati con un approccio settoriale, sia verso il mercato, sia nell’attività parlamentare e interministeriale.
PI: Fino a questo momento quali sono i nodi cardine individuati da chi sta partecipando al dibattito sul sito, che accompagna l’avvicinamento all’appuntamento del 22?
FC: Quello digitale è un ecosistema, quindi occorre innanzitutto riconoscerlo come tale per mettere a punto politiche pubbliche adeguate alla sostenibilità dei suoi fattori abilitanti. Neutralità della rete, quindi “public company”, “contratti di servizio” o proprietà pubblica invece di situazioni monopolistiche discriminatorie. Disponibilità degli alfabeti e delle grammatiche digitali senza brevetti sul software. Tutela del diritto d’autore adeguata alla natura di condivisione della rete quale condizione per la produzione cognitiva, quindi “fair use” e P2P non commerciale legali, ricerche e archivi pubblici o prodotti con soldi pubblici sotto pubblico dominio.
Politiche fiscali e finanziarie per l’incontro tra Creatività e credito in un Paese che praticamente non conosce il “venture capital”. Perché in un Paese, il nostro, dove i supporti digitali vengono già tassati in modo indifferenziato non avrebbe senso introdurre una tassazione FLAT da ridistribuire proporzionalmente al download e in modo trasparente agli autori che mettono in rete i propri prodotti? All’ecosistema digitale occorre un mercato informatico plurale effettivo dove il pubblico faccia regole e indirizzi e non impresa. Un welfare, una previdenza, adeguati alle nuove figure professionali e rimotivanti per il sistema istruzione-università-ricerca. Una tutela della privacy capace di imporre trasparenza sulla tracciabilità e sulla gestione di dati sensibili.
PI: Corre parallela ai lavori per il convegno, anzi ne è una parte dell’anima e del senso: è la Raccolta differenziata per un’iconografia della conoscenza condivisa . Quali sono le finalità per questa “opera d’arte condivisa”?
FC: Ha collaborato con me nella preparazione del sito e dell’iniziativa Massimo Silvano Galli,un artista e operatore culturale, che con la sua rivista DIXIT mette in pratica la rete come incontro tra linguaggi espressivi. Tra l’altro il sito si avvale delle musiche del concerto promosso a New York da WIRED per le Creative Commons, con Gilberto Gil, David Byrne, Beatie Boys e tante/i altri, musiche scaricabili e condivisibili liberamente, non a fini commerciali. Massimo Silvano Galli ha anche montato le immagini messeci a disposizione da Contrasto e le musiche che introdurranno e chiuderanno le sessioni del 22. Per questo mi sembra giusto che sia lui a rispondere a questa domanda.
Massimo Silvano Galli : Le finalità che ci hanno spinto ad ideare questo tipo di intervento sono molteplici. Anzitutto, sottolineare l’ingiustificata marginalità dell’arte nel dibattito attorno alla cosiddetta “Società della conoscenza”; dibattito che pare spendersi quasi esclusivamente tra i gangli del libero accesso alle tecnologie, quasi dimenticandosi che è sempre un atto immaginativo che anticipa e dà forma a qualsiasi fatto tecnologico, e che è proprio dell’oggetto d’arte la necessità genetica di condividersi, poiché la sua natura si completa solo nell’incontro con l’Altro.
L’arte, quindi, rappresenta la metafora stessa, non solo di un’auspicata “Società della conoscenza”, ma anche del processo educativo che ne sottende la costituzione. Ci pare, infatti, esageratamente ottimista pensare di poter assolvere agli auspici della Agenda di Lisbona, esclusivamente esigendo una -per quanto fondamentale- più adeguata legislazione. Il lavoro di regolamentazione non può non essere associato ad un parallelo investimento pedagogico che trova nell’arte tutti i dispositivi in grado di accompagnarci all’assunzione di nuove consapevolezze e nuovi comportamenti.
In questo senso, invitare i partecipanti al convegno e la rete tutta a condividersi attraverso un oggetto intimo che rappresenti la loro soggettiva concezione di conoscenza condivisa, rappresenta -di fatto- un primo passo in questa direzione. Approfitto, anzi, per invitare tutti i lettori a partecipare, collegandosi al sito del convegno o al mio personale .
PI: Questo percorso inizia qui ma non finirà il 22. Cosa accadrà dopo e in che modo si potranno massimizzare i contributi arrivati da dentro e da fuori della Rete?
FC: Mi auguro che questo modello partecipato venga istituzionalizzato sia in chiave bicamerale che interministeriale, in modo che il legislatore abbia in tempo reale il polso su domande, aspettative e problematicità. Lo stesso vale sul piano regionale/locale.
Intanto il prodotto di tutti i contributi, sia del 22 che in rete, sarà consegnato ai Presidenti delle due Camere, ai Parlamentari ed al Governo. Nonché alle rappresentanze nazionali di regioni ed autonomie locali. Mi sembra altresì necessario mettere a punto una modalità di relazione e rappresentanza capace di rispettare e rispecchiare la gelosa autonomia dei nodi della rete ma, ad un tempo, capace di azione tempestiva sull’agenda politica e non solo reattiva, come nel caso delle proposte di Direttiva Europea sulla brevettabilità del software o, qui da noi sulla “Legge Urbani”. Anche qui occorre fantasia per non riprodurre i modelli del secolo scorso legati ad ideologie e rigidità nella composizione della società.
Tutte le info e le modalità di partecipazione sul sito ufficiale del convegno
a cura di Paolo De Andreis