Malibu Media produce e propone in vendita materiale per adulti e negli anni si è mostrata particolarmente attiva nel rastrellare indirizzi IP sulle reti del file sharing, contattare i relativi abbonati con l’aiuto di fornitori di connettività compiacenti e proporre loro un accordo per ritirare la denuncia: non c’è dubbio che si tratti di un’azienda che opera nel business della pornografia, e ci sono tutti gli elementi per classificarla come “copyright troll”, appellativo spesso affibbiato a soggetti che sono soliti abbreviare le ordinarie procedure che coinvolgono il sistema giudiziario per ottenere risarcimenti per le violazione degli abusi commessi ai danni delle proprie opere.
In un documento depositato presso un tribunale dell’Indiana, dove si sta discutendo uno dei pochi casi in cui la difesa ha deciso di opporre le proprie argomentazioni, Malibu Media ha chiesto alla giustizia di diffidare i legali di tale Michael Harrison, accusato di violazione del copyright, dal connotare l’azienda con appellativi quali “copyright troll”, “pornografo”, “estorsore”. “Riferirsi all’attore nel contesto del processo in qualità di accusa o Malibu Media – scrivono i legali dell’azienda – non genera pregiudizi e agevola un’imparziale amministrazione della giustizia”. Malibu detiene regolarmente il diritto d’autore sulle opere che crea, poco importa che siano contenuti per adulti, e ha tutto il diritto di difenderlo, spiegano i legali.
La risposta dell’avvocato di Harrison non è tardata: se “pornografo” descrive in maniera precisa l’attività dell’azienda, “copyright troll” non è che un soggetto “più concentrato sulle denunce che non sul vendere un prodotto o un servizio, o concederlo in licenza a terze parti”, riferisce il legale della difesa citando una definizione attinta da una ricerca accademica. A supporto delle proprie argomentazioni cita le 3.539 denunce depositate da Malibu Media negli Stati Uniti al 2 agosto 2015. Sul termine “estorsore” il legale si è limitato a non prendere posizione.
Il tribunale deve ancora pronunciarsi sulla questione. Nel 2013 Hotfile, la piattaforma che di recente ha accettato di chiudere il caso aperto con Hollywood con un risarcimento milionario , aveva ottenuto che nel corso del procedimento non si impiegassero “termini peggiorativi” ad eccezione di quelli utilizzati ordinariamente nel gergo tecnico degli operatori addetti al contrasto alla pirateria. Nel 2014 Malibu Media aveva impiegato definizioni non propriamente professionali per descrivere i gestori del blog Fight Copyright Trolls , che da tempo segue con piglio aggressivo e con documentazioni precise i volteggi degli avvoltoi del copyright e che ora l’azienda vorrebbe estromettere dai dibattimenti che la riguardano: aveva definito gli amministratori del sito un “hate group” che esiste per il solo scopo di “minacciare fisicamente, diffamare e perseguitare online” l’azienda, animato da “disturbi mentali di natura criminale”.
Gaia Bottà